Me lo vedo il Canadese nella sua versione “scienziato pazzo” (il physique du rôle ormai ce l’ha) che ridacchia istericamente mentre aggiunge rumori assortiti (ora in sincrono e ora no) di animali e natura (mucche e grilli, corvi, tacchini e quant’altro, uno scrosciare di pioggia e un frangersi di risacca) a quello che sarebbe stato se no un canonico e pletorico, l’ennesimo, live. Vuoi vedere che qualcuno parlerà di “esperimenti ambient”? Ih ih ih. E, non pago, decide di suggellare un doppio di novantasette minuti con una Love And Only Love di ventotto che subito conquista la vetta di un’ipotetica lista di incisioni più inutili mai date alle stampe dal nostro uomo. Potrebbe, rovinosamente e misericordiosamente, congedarsi a 15’30” e invece no. Dopo un falso finale riprende e ci estenua fino alla durata di cui sopra. Ih ih ih. Ma Neil Young è (anche) questo: prendere o lasciare.
Nel caso prendiate, quella che vi ritroverete fra le mani è una testimonianza del tour con il quale è stato promosso l’ultimo lavoro in studio, il non trascendentale (per quanto con occasionali lampi di brillantezza, che qui ovviamente non ci sono) “The Monsanto Years”. Come è successo altre volte quando Young ha deciso di fare a meno dei Crazy Horse, ci si chiede perché i sostituti – in questo caso i giovanotti Promise Of The Real, ghenga guidata da due rampolli di Willie Nelson – al loro meglio provino a farsi copia conforme proprio del sunnominato trio. Lo capite voi? Ih ih ih. Opera grossolanamente a tema e il tema è l’ecologia, “Earth” rifugge naturalmente la trappola del “Greatest Hits” (l’unico brano celebre è After The Gold Rush) e se non altro al fan terminale si raccomanda per un Vampire Blues pigramente graffiante e per il caracollare campagnolo di Human Highway.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.378, agosto 2016.
Visti a Padova a luglio, devo dire che dal vivo l’effetto Crazy Horse cala assai. Ho visto molti concerti del canadese ed è stato uno dei migliori, soprattutto se paragonato a quelli monolitici (e monotoni) del 2013/2014. Repertorio vario e suggestivo, da Old Man e Here We Are In The Years c’è stato di tutto. Nei pezzi di epoca Springfield addirittura hanno ricreato non so come quel suono là (proprio quello). Insomma, niente a che vedere con questo Earth.
Ciao, penso che il miglior commento sonoro a questo disco sia la risata “da erba” di neil prima di flying on the ground sull’enorme live at cellar door.