La fenomenale arroganza degli Oasis

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Definitely Maybe (Creation, 1994)

Forse mai nella storia del rock si è dato il caso di una profezia autoavveratasi nella misura di questo che era nell’agosto ’94 il primo album del gruppo dei fratelli Gallagher. Nel titolo del primo brano, Rock’n’Roll Star, più che un auspicio una certezza, nemmeno influenzata dal fatto che nel momento in cui “Definitely Maybe” raggiungeva i negozi il terzo singolo della band di Manchester, Live Forever, fosse il primo a violare i Top 10 britannici. Due mesi prima Shakermaker li aveva sfiorati e due prima ancora il biglietto da visita Supersonic era stato comunque un numero 31. Il debutto in lungo che conteneva quelli, un quarto lato A dal titolo parimenti come un manifesto (Cigarettes & Alcohol) e altre sette tracce quasi della stessa forza, quella dei classici, entrava nella classifica UK dritto al primo posto e a oggi ha venduto nel mondo quegli otto milioni di copie. Cifra stupefacente ma poca cosa rispetto ai ventidue che è arrivato a totalizzare il seguito “(What’s The Story) Morning Glory?”. Eppure sono certo che nessuno al mondo si stupì meno del successo degli Oasis degli Oasis stessi. Gente che si era fatta mettere sotto contratto sequestrando il boss della Creation, Alan McGee, e letteralmente costringendolo ad ascoltare un demo. Gente che sulla copertina del primo singolo si mostrava in sala prove con buttata per terra una chitarra che era stata di Johnny Marr.

Alla base dei trionfi dei primi Oasis un’arroganza ancora più fenomenale di canzoni capaci di mettere insieme Beatles e Stones, Who e Kinks, Stone Roses e Sex Pistols, di plagiare i T.Rex ma pure gli Wham! e un jingle della Coca Cola e farla sempre franca. Questa riedizione con trentatré bonus fra demo, live e ritagli non aggiunge nulla al Mito, ma aiuta a definirne meglio i contorni.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.354, agosto 2014.

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(What’s The Story) Morning Glory? (Creation, 1995)

Quanti fra voi leggono la stampa inglese avranno seguito, negli ultimi mesi, la guerra fra Oasis e Blur per la conquista della vetta delle classifiche e del titolo di migliore gruppo d’oltremanica. Annotato che la vis polemica che caratterizza il confronto ha toccato punte sgradevoli e che i Blur sono in vantaggio a livello di vendite, tocca subito dopo rilevare che il polverone, visto da lontano, pare avere poco senso. Perché se è vero che i due gruppi sotto molti punti di vista sono agli antipodi – si potrebbe dire che i Blur stanno agli Oasis come i Beatles stavano agli Stones: vale a dire che i primi sono una formazione pop mentre i secondi fanno i rocker – è al pari innegabile che tanto hanno in comune. Al punto che, come dell’album più recente dei Blur fan parte canzoni che avrebbero potuto essere di Noel Gallagher, in questo Oasis ce ne sono minimo due – Wonderwall e Don’t Look Back In Anger, melanconiche e stupende – che avrebbe potuto scrivere Damon Albarn.

Fra le cose in comune i litiganti hanno la devozione per Ray Davies, che in “Morning Glory?” si dispiega in un artwork assai simile a quello del box “Kinks Remastered” e in brani – She’s Electric è esemplare – a volte più realisti del re. Altrove, ferma restando l’influenza kinksiana, emergono ammiccamenti ai Beatles e al glam, sia quello ruffiano ma geniale dei T-Rex (Hey Now, Some Might Say) che quello cialtroncello di Gary Glitter (Hello). Gran bel disco, ma l’impressione è che gli Oasis non abbiano ancora espresso appieno il loro potenziale.

Pubblicato per la prima volta su “Dynamo!”, n.11, novembre 1995.

2 commenti

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2 risposte a “La fenomenale arroganza degli Oasis

  1. filippo1

    sempre facile commentare a posteriori, ma per la rubrica “come è andata a finire”: gli Oasis in realtà avevano già espresso tutto il loro (limitato) potenziale, i Blur invece avrebbero riservato ancora molte sorprese, al punto che è difficile capire oggi come potessero giocare nella stessa categoria (secondo me non ci hanno mai giocato).

  2. A proposito del giudizio in contemporanea, io continuo a pensare che “Be Here Now” sia sottovalutato, quantomeno perché dimostra che gli Oasis potevano e volevano spingersi oltre le coordinate stilistiche precedenti (riuscendoci fino ad un certo punto, ma questo è un altro discorso, e la colpa è più che altro ascrivibile ai successori di “Be Here Now”).

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