Ciao! – Le melodie leggere e le chitarre fragorose dei Lush

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Sapendo come è andata a finire, il titolo sbarazzino scelto per questa antologia postuma degli inglesi Lush induce grande malinconia. La storia di questo quartetto misto, metà maschile e metà femminile, molto presente sui media locali nei primissimi ’90, giungeva al capolinea il 17 ottobre 1996, quando il batterista Chris Acland si toglieva la vita. Aveva alle spalle problemi sentimentali e trent’anni vissuti intensamente. Uscita di scena quanto mai intempestiva la sua, dacché i Lush avevano da pochi mesi pubblicato il loro album migliore, poco preveggentemente intitolato “Lovelife”, premiato oltretutto da buoni riscontri mercantili. Lungi dall’essere dei reduci disperatamente tesi a riciclarsi, come qualcuno scrisse all’epoca, stavano vivendo la loro stagione più ispirata.

Ne è dimostrazione eloquente “Ciao!”, che si dispone in ordine cronologico ma al contrario, sicché per seguire l’evoluzione del gruppo occorre programmare il lettore come un conto alla rovescia, da diciotto a uno. Si potrà così apprezzare come i Lush passarono dagli esangui vocalizzi su ondivaghe chitarre elettriche di esordi molto prossimi ai Cocteau Twins (Robin Guthrie fu non a caso uno dei loro primi mentori) allo scintillante punk-pop, striato di new wave e sixties-sound, delle ultime prove. C’era stata in mezzo la stagione dello shoegazing, in cui i Nostri furono coinvolti per il loro avvolgere melodie leggere in strati di frastuono chitarristico. Breve, presto spazzata via dal grunge, cui dopo un po’ rispondeva il Britpop. Ecco: i Lush vennero accusati di essersi accodati a quest’ultimo. E se anche fu? La spensieratezza beat di 500 (Shake Baby Shake) e il passo surf di Ladykillers valgano come assoluzione.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.211, marzo 2001.

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