Allen Toussaint – American Tunes (Nonesuch)

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È sempre stato uno, da New Orleans e di New Orleans divenuto un simbolo, che alla ribalta ha preferito le quinte, Allen Toussaint. E da lì ha influenzato in misura decisiva la black music dell’ultimo abbondante mezzo secolo: pianista eccelso, arrangiatore sopraffino, produttore di vaglia, scopritore di talenti (era lui a lanciare i Meters, la più grande formazione strumentale nell’ambito con Booker T. & The MGs), discografico accorto (la Minit il principale trofeo), autore di classici a decine per questo o quell’interprete. Quelli scritti per Lee Dorsey e Irma Thomas così come per Ernie K-Doe e altri ripresi da Wilson Pickett e dagli Stones, da Herb Alpert, Lowell George, Bonnie Raitt… Per un elenco nemmeno completo l’intero spazio occupato da questa recensione non basterebbe e meglio allora passare a dire di “American Tunes”.

Un addio che non immaginava di esserlo, inciso (regista al solito mirabile Joe Henry) in due riprese, nel maggio 2013 e poi nell’ottobre 2015. Un infarto stroncava Toussaint, settantasettenne, poche settimane dopo e nel pieno di un tour. Anche sapendo di essere ai saluti difficilmente avrebbe potuto concepire un congedo migliore e più significativo, aggiunta preziosa a una discografia in proprio troppo scarna, sette album appena quattro dei quali (con questo) negli ultimi dieci anni. Il disco contiene esattamente quanto promette un titolo mutuato dal classico di Paul Simon con il quale saluta, jazzeggiando: melodie americane, di Toussaint stesso come di Fats Waller, Bill Evans ed Earl King, “Fatha” Hines e Duke Ellington. Nell’ampissimo arco compreso fra l’irresistibile blues da bordello Rocks In My Bed (favolosa l’interpretazione che ne offre Rhiannon Giddens) e la cameristica a stelle e strisce di Danza, Op.33.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.379, settembre 2016.

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