Archivi del mese: gennaio 2017

L’uomo che cadde sulla Terra (1)

Heroes (dall’album omonimo, RCA, 1977)

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L’uomo che cadde sulla Terra (2)

Rock’n’Roll Suicide (da “The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars”, RCA, 1972)

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Lambchop – FLOTUS (City Slang)

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Tu quoque Kurt Wagner? Erano gli anni ’80 quando la batteria cominciò a suonare nello stesso fastidioso modo – poco ambiente, cassa ripresa senza pelle, rullante sparato – in troppi dischi pop-rock. Ed è “quella” batteria che li data e ha fatto invecchiare male musica anche valida. Lo sapevamo che sarebbe successo. Allo stesso modo, oggi sappiamo che tantissima musica del decennio corrente ci risulterà inascoltabile per l’abuso che fa dell’auto-tune, adoperandolo non per correggere l’intonazione della voce (per quello era stato inventato), bensì per distorcerla, rendendola lievemente metallica. Che diamine! L’auto-tune risulta già ora insopportabile, figurarsi quando la moda sarà passata. E sfortunatamente è ovunque, non solo in certe produzioni pop, hip hop o errebì che scanseremmo comunque. Tocca sorbirselo ormai anche nella canzone rock “d’autore” e non è trascorso che un mese dacché me ne lamentavo dicendo dell’ultimo Bon Iver.

Vederla la mia faccia, amico lettore, quando trenta secondi dentro l’altrimenti squisita ballata In Care Of 8675309 è entrata la voce e… Ho dovuto digerire un paio di ascolti interi delle undici tracce e dei sessantotto minuti di “FLOTUS”, undicesimo album per la ragione sociale forse più riverita di quell’alt-country sul serio “alternative”, per venire a patti con la novità e cominciare a formulare un giudizio un minimo obiettivo. Per ammettere a denti stretti che, in questo contesto di Americana (nell’accezione Randy Newman del termine) infiltrata di elettronica e con pulsioni avant (per i clamorosi 18’14” della conclusiva The Hustle si può tranquillamente chiamare in causa Terry Riley), la voce distorta ha un senso e persino una poetica. Nondimeno provo a immaginarmi “FLOTUS” senza auto-tune e credo sarebbe migliore. Un capolavoro, quasi.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.382, dicembre 2016.

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L’uomo che cadde sulla Terra (3)

Lazarus (da “Blackstar”, RCA, 2016)

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La rivoluzione d(e)i Van Halen

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È una frase citatissima e pazienza se pare sia apocrifa: del primo LP dei Velvet Undeground Brian Eno (sembra che) disse che lo comprarono in poche migliaia ma ciascuno degli acquirenti in seguito formò una band. Un’esagerazione, chiaro, una figura retorica, ma con un fondo di verità. Si potrebbe affermare lo stesso – che ciascuno di quelli che lo acquistarono ha poi dato vita a un gruppo (o come minimo preso qualche lezione di chitarra) – dell’esordio dei Van Halen. Con la non piccola differenza che dal 1978 al 2002 (data in cui, per ragioni troppo lunghe a spiegarsi qui, il conteggio ha smesso di venire aggiornato) questo disco ora rimasterizzato senza brani aggiunti ha totalizzato nei soli Stati Uniti vendite per oltre dieci milioni di copie. Non male per un lavoro che all’uscita arrestò la sua ascesa nelle classifiche di “Billboard” al numero 19 (comunque non male per un debutto) e collezionò stroncature che a rileggerle (firmava la più cattiva Robert Christgau e chissà se se ne è pentito) non ci si crede. Quando a chi aveva orecchie per intendere sarebbe dovuto sembrare lampante da subito che questi trentacinque minuti, questi undici brani nove dei quali autografi (le cover una roboante You Really Got Me dei Kinks e il rock’n’roll Ice Cream Man) segnavano uno spartiacque nella storia del rock “pesante”, marcando la cesura fra l’hard che era stato e l’heavy metal che sarà.

Trentasette anni dopo l’album permane sbarazzino e potentissimo, fresco e travolgente come nel ricordo. Imbevuto dello spirito del tempo (lo testimonia nel titolo più che nello spartito Atomic Punk) ma capace di trascenderlo. I centodue secondi di chitarra in assolo di Eddie Van Halen in Eruption rendono tristemente superflui e patetici tutti gli eroi di cartapesta della sei corde che da allora provano a fargli il verso.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.364, giugno 2015. Il fu enfant prodige Eddie Van Halen compie oggi sessantadue anni. In tempi abbastanza recenti si è scoperto che all’epoca, forse per parere ancora più prodigioso, dalla carta di identità se n’era tolti un paio.

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L’uomo che cadde sulla Terra (4)

Station To Station (dall’album omonimo, RCA, 1976)

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L’uomo che cadde sulla Terra (5)

Sound And Vision (da “Low”, RCA, 1977)

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Audio Review n.383

Audio Review n.383

È in edicola da alcuni giorni il numero 383 di “Audio Review”. Contiene mie recensioni dei nuovi album di  Assalti Frontali, Childish Gambino, Foxygen, Jim James, Moro & The Silent Revolution, Nada Surf, Conor Oberst, Romare, Syd Arthur, Amerigo Verardi e Neil Young, di una raccolta di Will T. Massey e di recenti ristampe di Black Grape e David Ruffin. Nella rubrica del vinile ho scritto diffusamente di Amy Winehouse e più in breve di James Brown.

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L’uomo che cadde sulla Terra (6)

Young Americans (dall’album omonimo, RCA, 1975)

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L’uomo che cadde sulla Terra (7)

Suffragette City (da “The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars”, RCA, 1972)

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