I migliori album del 2016 (14): Yussef Kamaal – Black Focus (Brownswood)

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C’è un nuovo jazz in circolazione. Che magari non sarà proprio nuovo nuovo, ma un pochino anche sì. Nel senso che qualche suggestione semi-inedita la regala. Nel senso che spalanca finestre di stanze dove l’aria ristagnava stantia da decenni. Nel senso che, naturalmente, a scriverne sono più webzine per la generazione hipster del tutto disponibile/sovrapponibile ora subito adesso che non i paludati noiosi petulanti cantori dell’ennesima rivisitazione della rivisitazione della rivisitazione dell’hard-bop, o di quella roba lì che ha condannato alla damnatio memoriae una parolina potenzialmente nobile quale “fusion”. Collisioni. Compenetrazioni. Ce ne sono a iosa in questo debutto di Yussef Kamaal, che non è un tizio ma un progetto, due giovanotti di Londra, alla batteria Yussef Dayes degli afrobeat United Vibrations (un album fuori anche per loro nel trascorso 2016, che non so come sia ma la copertina è un capolavoro) e al piano (elettrico, Rhodes: più che uno strumento un programma di suggestioni) e ai sintetizzatori Kamaal Williams. Si sono incontrati, si sono piaciuti, sono piaciuti a Gilles Peterson, cui è bastato un live set di venti minuti per farsi persuaso che non poteva che metterli sotto contratto per la sua Brownswood. In studio li ha raggiunti altra gente tosta, tutti concittadini: il chitarrista Mansur Brown, il trombettista Yelfris Valdes, il sassofonista Shabaka Hutchings e ben due bassisti, ché di ritmo non ce n’è mai abbastanza, Kareem Dayes (parente, I suppose) e Tom Driessler. Dietro il mixer si è seduto Malcolm Catto degli Heliocentrics e il risultato è “Black Focus”. Se Kamasi Washington fosse Flying Lotus è questo il disco che farebbe. Ma anche, senza diventare un altro, fosse cresciuto non masticando hip hop bensì digerendo drum’n’bass, dubstep, grime. Avesse il dono della sintesi. Per rilevanza, “Black Focus” sta al 2016 (quasi) come “The Epic” stava al 2015. Solo che dura 43’42”.

Però sembrano di più ed è una lode. Sembrano di più non perché ci si annoi ma viceversa giacché succedono continuamente cose. Cose cui si stenta a dare un nome. Tipo Strings Of Light, che è kosmische-jungle-jazz fintanto che non si slarga in dub. O Lowrider, un’idea di Lonnie Liston Smith che si unisce ai primi Weather Report essendo stato visitato in sogno da Roni Size. Laddove la traccia omonima plana sul pianeta alienblack fermato sulla copertina di “Sextant” di Herbie Hancock e Joint 17 dipinge post-soul per un’estate acquatica. Fine. Ricominci daccapo.

3 commenti

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3 risposte a “I migliori album del 2016 (14): Yussef Kamaal – Black Focus (Brownswood)

  1. weekosite

    ho ascoltato Lowrider e Strings Of Light, belli, ma per me ancora troppo difficili…grazie, mi piace tanto ascoltare la musica che consigli.

  2. Fausto

    Li ho visti dal vivo a Firenze, concerto incredibile!

  3. Gian Luigi Bona

    Grande disco! Imprevedibile e pieno di emozioni, questo nuovo Jazz è molto interessante e ne voglio ancora !

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