I migliori album del 2016 (12): Leonard Cohen – You Want It Darker (Columbia)

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L’ultimo brano dell’ultimo per davvero album di Leonard Cohen si intitola String Reprise/Treaty e dura 3’26”. La voce non entra che a 2’41”, per pochi versi. “I wish there was a treaty between your love and mine” canta/recita Leonard un attimo prima che il sipario cali definitivamente. E con l’applauso che scatta sorge spontaneo un dubbio: che meglio sarebbe stato, e infinitamente più suggestivo, suggellare questo addio con appena il secondo brano strumentale della cinquantennale carriera da cantautore del nostro uomo. Senza parole, solo quegli archi luttuosi e sul serio da requiem e un simbolico silenzio. Non la voce che si spegne, ma la voce che già non c’è più. Naturalmente va bene anche così. Commossi ringraziamo. Felici che in questo nuovo secolo Cohen ci abbia regalato cinque lavori in studio, tre soltanto negli anni ’10 quando in tutti i ’90 non aveva pubblicato che un disco e negli ’80 due. È stato il crepuscolo il suo periodo più produttivo dagli esordi in avanti e non vale indagare il perché, se un prosastico bisogno di soldi (ma gli sarebbe bastato allora esibirsi spesso dal vivo come in effetti ha fatto) o l’urgenza data dal sapere che di tempo a disposizione non ce n’era più molto. Propenderei per la seconda. Un artista che era solito passare anni rifinendo una singola canzone improvvisamente ha deciso che potevano bastare mesi. Il miracolo è che il livello sia rimasto altissimo, rendendo impietoso, per gli altri, il confronto con le coeve produzioni di – per dire – Neil Young, Bob Dylan, Bruce Springsteen. Magari non c’è un’altra Hallelujah in queste più recenti collezioni, ma si può scommettere che a lungo andare ne emergeranno brani destinati a essere letti e riletti. Fino a farsi standard.

Un coro simil-gregoriano, un pulsare di batteria elettronica, la voce raspante e intorno altre voci che accerchiano, rispondono, sottolineano. “You Want It Darker” si apre con la traccia omonima ed è subito un colpo al cuore. Incipit di strepitosa memorabilità per un ultimo giro di valzer, in senso figurato o letterale come nel caso di Leaving The Table. Se un rimpianto si può avere congedandosi da un congedo sul quale si può esser certi si tornerà almeno altrettanto che sui tredici predecessori è che solo circostanze contingenti – una salute improvvisamente declinante che ha costretto fra le mura di casa chi ancora negli ultimi tour era apparso in uno stato di forma eccezionale per un uomo della sua età – abbiano portato Leonard a fare accomodare in regia il figlio Adam. Che peccato che la prima collaborazione fra i due debba restare l’ultima, perché una sintonia simile con un produttore non si era mai registrata da parte dell’artista canadese. Simbiosi che lascia senza fiato più che altrove in una Traveling Light che parte mandolino in resta per quindi dipanarsi fra violini piangenti e un coro femminile la-la-la-la, la voce di Leonard una cantilena ipnotica, le percussioni un battito spettrale. Altri momenti che sconfinano nell’ineffabile: il blues che declina in gospel di On The Level; l’incastro di organo liturgico, battito metronomico e chitarra che jazzeggia di If I Didn’t Have Your Love; il post-country Steer Your Way. E poi e naturalmente bisognerebbe spendersi per i testi. Quanto altro ci sarebbe da dire su “You Want It Darker”! Ma abbiamo anni davanti per riempire di parole un vuoto incolmabile.

2 commenti

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2 risposte a “I migliori album del 2016 (12): Leonard Cohen – You Want It Darker (Columbia)

  1. Claudio

    Tacoma Trailer che chiudeva The Future. Al solito le tue conclusioni mi fanno sentire a casa, quindi grazie e buon lavoro.

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