Che strana coppia, Tim Burgess e Peter Gordon. Per cominciare li dividono sedici anni – il primo è nato nel 1967, il secondo nel ’51 – e un oceano. Quanto al successo: il secondo non sa proprio cosa sia, il primo ha collezionato – alla testa dei Charlatans – tre primi posti e due secondi nella classifica UK degli album e ben ventotto piazzamenti (di cui quattro nelle prime dieci posizioni e altri otto nelle prime venti) nella graduatoria dei singoli. È insomma una rockstar con tutti i crismi e che ci fa insieme a uno stimato compositore d’avanguardia? Nel caso non lo conosceste, il newyorkese Peter Gordon: l’avanguardia più gentile che si sia mai udita, la sua, e d’altronde lovely music la chiamavano, dal nome dell’etichetta che pubblicò nel 1978 “Star Jaws”, il lavoro che gli regalò quindici minuti… quindici secondi di attenzione da parte della stampa specializzata. Aprendo però forse la strada a Laurie Anderson, per quanto la musica amabile fosse più densa, pregna di jazz, infiltrata di suggestioni world, propensa allo scorcio da colonna sonora. A parte la piacevolezza, difficile trovare punti di contatto con chi sull’altra sponda dell’Atlantico, e un abbondante decennio dopo, lancerà ponti fra il beat all’incrocio fra errebì e psichedelia e l’elettronica da ballo anni ’90. Prendendosi a più riprese le prime pagine dei giornali e non solo di quelli rock. Sia come sia: li ha messi insieme, Tim e Peter, quel gran genio di Arthur Russell. Il primo lo adora, il secondo ci collaborò a più riprese. Ad Arthur questo disco sarebbe piaciuto. L’idea di una musica senza confini gli apparteneva.
Conosciutisi di persona nel 2012 a Londra, i due hanno iniziato una collaborazione transoceanica, con Burgess che registrava bozzetti di canzoni pop con solo voce e chitarra acustica e li spediva a Gordon, che li rielaborava massicciamente e li rimandava indietro, ricevendoli poi ulteriormente modificati. Il risultato è una meravigliosa bestia mutante di disco che bene esemplifica il singolo (singolo? nove minuti: poco da stupirsi se non è stato il ventinovesimo successo sulla distanza breve del cantante) Being Unguarded: sorridente comunione fra l’ossessività della techno e la suggestione di un jazz da colonne sonore retrofuturibili, alla Blade Runner. Fra un incipit e un sigillo fantasticamente alla Bowie (Begin una scoria berlinese, Oh Men una ballata più classica), l’album regala molto altro di memorabile. Trovo particolarmente rappresentativa una Temperature High che prima manda in collisione Laurie Anderson e i Neu!, poi li persuade a darsi al funk.
Questo mi era proprio sfuggito!
Lo sto ascoltando adesso e mi piace davvero molto.
Ti seguo sempre ed è inutile dire quanto la tua penna sia un riferimento per dischi “conosciuti”. Passo all’idolatria nei tuoi confronti quando proponi cose assolutamente nuove (per me) !
Grazie.
Temperature High, molto bello, anche io sono passata all’idolatria…grazie