I migliori album del 2016 (2): Radiohead – A Moon Shaped Pool (XL)

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Dice Stanley Donwood, sin dal 1994 autore di tutte le grafiche dei Radiohead e dunque anche dell’artwork di questo loro nono album in studio, che dopo avere dipinto le varie tele che sono andate a comporlo le ha lasciate esposte per qualche giorno all’azione degli agenti atmosferici, così che si deteriorassero, ciascuna in un suo peculiare modo. Le ha poi fotografate e quelle fotografie sono state successivamente ritoccate al computer da lui e Thom Yorke. Mi pare un buon punto da cui partire per raccontare “A Moon Shaped Pool”, che fra le sue undici tracce ne annovera diverse sulle quali la band ha lasciato che il tempo lavorasse. Brani risalenti anche a molti anni fa – un caso eclatante True Love Waits, scritta nel ’95 e, dopo essere stata considerata per l’inclusione in tre album di fila, e scartata, recuperata una prima volta in un live del 2001 – e che per questa o quella ragione, ma certo non per mancanza di qualità, non avevano trovato posto finora nei dischi in studio (qualcuna nei concerti sì). Sussisteva naturalmente il pericolo che un’opera così assemblata, mettendo insieme canzoni scritte in periodi distanti fra loro, finisse per risultare slegata, per parere una raccolta. Non accade. È questo un (capo)lavoro di contraddizioni che trovano un’armoniosa risoluzione, di sovrapposizioni in cui insinuarsi per scovarne il cuore. È l’album più piacevole che mai abbiano pubblicato i Radiohead e il più desolato. Sotto una superficie ghiacciata – i quadri astratti in una respingente gamma dal nero al bianco usati per davanti e retrocopertina e, nell’edizione in vinile, per le due buste – batte un cuore caldo: le due tele coloratissime riprodotte all’interno. O viceversa: polpa di paranoia in scorza pastorale. A seconda del punto di osservazione, fors’anche a seconda dell’umore di chi osserva/ascolta, può sembrare questa cosa o quella, opposta. Non ci si stanca e non ci si stancherà di “A Moon Shaped Pool”. Austero, eppure cesellato di finissimo, ogni dettaglio pronto per un’esegesi.

A True Love Waits – al suo gioco di ingranaggi cigolanti e piano oscuramente blandente, minimalismo post-post-rock avvolto in una lieve distorsione di fondo sottilmente e ulteriormente disturbante – è affidato il congedo. Era toccato a un’altra canzone stagionata (2000!), Burn The Witch, introdurre: alata e nel contempo epica, tesa e scoscesa e appesa a un saettare ossessivo e ronzante di archi. Nel percorso da questa a quella – stabilito semplicemente sistemando i titoli in ordine alfabetico: eppure si ha l’impressione che fosse l’unica traiettoria logica, che a scombinarla tutto crollerebbe tipo castello di carte – ci si imbatte in alcune tra le macchinazioni più straordinarie di un gruppo che fa da lungi categoria a sé. Tipo Decks Dark, bucolica quanto robotica (versante Philip K. Dick piuttosto che Isaac Asimov). Tipo lo stupefacente in ogni senso weird folk di Desert Island Disk. O la scheggia di Joy Division Identikit. O, rituffandoci in ambientazioni sf, Tinker Tailor Soldier Sailor Rich Man Poor Man Beggar Man Thief, propulsa come da uno sbuffare di ingranaggi a vapore e sequestrata nel procedere da un’orchestrazione sempre più imponente. Avrei potuto soffermarmi su altri brani ancora, ma questo mi preme di più sottolineare: che “A Moon Shaped Pool” è quanto di più emotivo abbiano pubblicato i Radiohead – ovvero un gruppo che ha sempre abitato le regioni della testa preferendole alle ragioni del cuore – da Creep in avanti.

1 Commento

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Una risposta a “I migliori album del 2016 (2): Radiohead – A Moon Shaped Pool (XL)

  1. Roberto

    Che sorpresa trovare i radio nei tuoi migliori dell’anno!
    Ciao
    E grazie per ogni riga che scrivi.

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