Per otto esaltanti anni – fra continui cambi di formazione, una persecuzione poliziesca e l’altra, un tour degli Stati Uniti da costa a costa e una scorribanda nel Vecchio Continente – la Bandiera Nera ha garrito su Los Angeles. Diciotto sono ormai trascorsi dacché venne ammainata, eppure pare che sventoli ancora e insomma (per citare un gruppo nostrano che dalle gesta di Greg Ginn e soci prese indubbia ispirazione) “lo spirito continua”. Al di là dello stardom cui nei ’90 è assurto Henry Rollins, che del complesso californiano non fu fra i fondatori ma resta l’icona e la voce per eccellenza, Black Flag è ancora presenza palpabile nel rock contemporaneo, riferimento sia per quel poco punk degno di essere così chiamato che per molto metal e un tot di cani sciolti. Tutti gli album degli anarchici losangeleni sono facilmente rintracciabili e hanno venduto nel tempo parecchio più di quando uscirono.
Due almeno quelli dai quali non si può prescindere. “Damaged”, del 1981, è probabilmente il migliore LP hardcore di sempre, pietra miliare del rock estremo scolpita nel magma e nel granito da inni frenetici e urticanti come Six Pack e Rise Above, Police Story e Gimmie Gimmie Gimmie. E poi c’è “Slip It In”, che è quello che ci interessa in questa sede, di tre anni posteriore e un classico assoluto di moderno hard rock, conscio delle sue radici e ovviamente aperto a ogni contaminazione, dal punk (ça va sans dire) a certa avanguardia. E retrospettivamente, con il suo essere volto a un aggiornamento del passato, molto in anticipo sui tempi (e per questo frainteso) giacché la scena di Seattle era in fasce. Se The Bars e My Ghetto sono ritorni di fiamma per l’hardcore che fu, la traccia omonima e inaugurale e la conclusiva You’re Not Evil sono ricostruzioni sabbathiane di classe suprema e Rat’s Eyes, lenta e caratterizzata da un cantato cavernoso, prefigura il grind, ma non fategliene una colpa. Imprescindibile.
Pubblicato per la prima volta su “Extra”, n.16, inverno 2005. Henry Rollins compie oggi cinquantasei anni.
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Capolavoro della musica contemporanea insieme a In My Head. Hanno avuto il fegato di trasformare tutto e non rendere conto a nessuno, senza prendersi alcun merito. Forse gli ultimi veri innovatori nel rock, o penultimi prima dei Kyuss, che non a caso ne erano devoti.