Erano “roba inaudita” i materiali che nel giugno 2015 davano vita all’omonimo esordio di quell’allora trio e oggi (con la significativa aggiunta di un batterista) quartetto (formalmente di Atlanta ma disperso fra la città della Georgia, New York e Londra). Perché nessuno aveva mai pensato – perlomeno: non in tale forma – a creare un simile “connubio fra le radici più remote della musica afroamericana, ovvia dote del cantante, il nero Franklin James Fisher, e la lezione di una new wave giunta (si pensi ai P.I.L. del “Metal Box”) a preconizzare quello che tre buoni lustri dopo verrà chiamato post-rock”. Così si provava a raccontare “Algiers” nella recensione di apertura di questa sezione di “Audio Review”, numero 364 per chi vuole recuperarla. “Disco del mese”, benché portatore (in)sano di sonorità magari poco frequentate dal lettore medio della rivista, proprio per premiare l’eccezionale originalità – oltre che qualità – della proposta.
Due esatti anni dopo, a tenere da conto soltanto la seconda si sarebbe potuta tranquillamente bissare la scelta e, se non lo si è fatto, è giusto perché è naturalmente venuto a mancare l’effetto sorpresa. Ma davvero? In realtà dall’industrial funk dell’iniziale Walk Like A Panther al gospel post-punk di The Cycle/The Spiral/Time To Go Down, che una quarantina di minuti dopo chiude le spastiche danze, non ci si annoia mai e valga come paradigma dell’opera tutta una A Hymn For An Average Man che si porge in forma di valzer e si evolve in una sorta di incubotico, dissonante prog. Due miei personali apici: lo spiritual girato gotico Cleveland; l’ultracinematografica e orrorosa Plague Years. Due suggerimenti per dj coraggiosi: i Suicide che incontrano i Temptations della traccia omonima; una Death March che sa di Depeche Mode.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.389, luglio 2017.
Ho appena scoperto di essere un DJ coraggioso !
Uno dei migliori dischi dell’anno