Per intanto si sono esibiti in un festival in Norvegia e fra agosto e settembre intraprenderanno un mini-tour americano, sei date appena. Poi si vedrà e son proprio curioso: si impegneranno sul serio la Kill Rock Stars – storico marchio indie: sullo spirito punk insito nel DNA la dice lunga la ragione sociale – e i Filthy Friends a promuovere “Invitation”? In fondo: cosa potrebbero avere di meglio da fare Corin Tucker e Peter Buck? Nemmeno si può dire che questo supergruppo – completato da Scott McCaughey (Young Fresh Fellows, R.E.M.), Kurt Bloch (Fastbacks) e Bill Rieflin (King Crimson); ma il repertorio l’hanno scritto tutto lei e lui – rappresenti per la chitarrista e cantante delle Sleater-Kinney e l’ex-chitarrista dei R.E.M. un dopolavoro. Non avendolo un lavoro, giacché le Sleater-Kinney non paiono aver fretta di dare un seguito alla rimpatriata che ha fruttato nel 2015 lo strepitoso “No Cities To Love” e i R.E.M. hanno chiuso sei anni fa la loro ultratrentennale avventura. E non sarebbe una soddisfazione per il nostro uomo riscoprirsi rockstar dopo avere smesso di dividere palchi e gloria con un personaggione come Michael Stipe? E che ironia se ciò avvenisse sotto gli auspici di un’etichetta che le stelle del rock invita a ucciderle…
Fatto è che, oltre a essere un gran bel disco, “Invitation” ha un potenziale commerciale clamoroso, pieno com’è di possibili hit, prima fra tutte una Any Kind Of Crowd fra Blondie e Pretenders e a seguire (letteralmente) la ballata alla Blue Öyster Cult Second Life e due schegge di glam chiamate The Arrival e Come Back Shelley. Il meglio (ancora!) sta però in apertura e chiusura: una Despierta degna della Patti Smith anni ’70; una Invitation che suggella come After Hours chiudeva il terzo Velvet.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.390, agosto 2017.
Per me Windmill è magnifica…grazie per averlo segnalato!