Se a qualcuno può interessare, ho probabilmente trovato la mia canzone dell’anno. È la terza delle dieci che sfilano qui ed è quella che intitola il nono lavoro da solista di Jane Weaver, da Liverpool: un capolavoro di psichedelia pop che mette insieme idealmente gli anni ’60 dei Doors con gli anni ’80 degli Opal e il secolo nuovo degli sfortunati Broadcast. “Non somiglia affatto ai Jefferson Airplane o ai Pink Floyd di Syd Barrett, ma esattamente come riuscì a costoro rispettivamente con White Rabbit e See Emily Play crea una musica che è nel contempo come un oggetto alieno e perfettamente fruibile”, ha scritto Alexis Petridis sul “Guardian” ed era dell’intero album che parlava, ma vale tanto di più – in quanto epitome perfetta – se riferito a Modern Kosmology il brano. E il resto?
Il resto basterebbe a pareggiare i conti con quel “The Silver Globe” che nel 2014 faceva compiere un inaspettato balzo in avanti – artisticamente, se non commercialmente – a una carriera principiata nei ’90 con il britpop delle Kill Laura e proseguita a inizio 2000 con il progetto di area folktronica Misty Dixon. Dopo di che la Weaver si metteva in proprio, girovagando fra acid folk e Americana prima di tornare via krautrock a usare pure elementi di elettronica. In “The Silver Globe” tutto ciò andava perfettamente a fuoco e adesso, per qualità dei materiali, ancora si va un passo avanti. Disco fenomenale per come sa fare coesistere armoniosamente un incipit come H>A>K, che sono i Neu! che si trasformano negli Hawkwind, con il techno-pop di Slow Motion, una Loops In The Secret Society da manuale Stereolab con i Visage se fossero stati i Can di The Architect, una ricreazione di Steeleye Span chiamata Valley con una Ravenspoint da Nico pacificata.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.390, agosto 2017.