I migliori album del 2017 (2): Benjamin Biolay – Volver (Barclay)

La Francia è vicina, dietro l’angolo, ma la Francia per noi italiani è lontanissima e meno male che sarebbero i francesi quelli sciovinisti. Per certo non è così se è di pop che si parla e fa testo la devozione che nutrono oltralpe per Paolo Conte, o che là Gianmaria Testa fosse ben più noto che qui, o ancora l’ottima stampa di cui godeva Pino Daniele. Mentre nel Bel Paese un gigante come Serge Gainsbourg è ancora sempre e soltanto quello di Je t’aime… moi non plus e questo già per un pubblico mediamente avvertito. Chi lo conosce un po’ meglio, spesso ci è arrivato per tramite di Mick Harvey, figurarsi. Ecco: se ancora Gainsbarre dalle nostre parti è uno a malapena orecchiato, come stupirsi del fatto che chi ne ha raccolto l’eredità resti un quasi perfetto sconosciuto? Benché un po’ di italiano ci sia in lui, già consorte (non più) di Chiara Mastroianni. Benché nel 2005, all’altezza di quell’altro mezzo capolavoro di “À l’origine”, la Virgin ci avesse investito abbastanza in promozione. Emulo dichiarato – esordiva nel 2002 con un concept, “Rose Kennedy”, ispirato a “Histoire de Melody Nelson” – di cotanto maestro, l’oggi quarantacinquenne Benjamin Biolay lo ha ormai eguagliato in tutto o quasi: nell’essere personaggio a 360° e chiacchierato (d’accordo: meno del depravato nume); nell’estro; nella capacità di fare rientrare il mondo sotto l’ombrello della chanson; nella propensione a circondarsi di donne splendide, incluse alcune che frequentarono pure Serge, e spesso a duettare con loro. Con una discografia in ogni senso di grande consistenza (questo l’undicesimo lavoro in studio) e di qualità media spettacolare, si potrebbe essere blasfemi e azzardare che sul lungo corso possa addirittura superarlo. Se in patria è una superstar che colleziona dischi di platino, oltre Manica e oltre Atlantico almeno è un personaggio “di culto”, in attesa di azzeccarlo lui un singolo (magari scandalosamente) epocale.

Ispirato come il precedente “Palermo Hollywood” dal sobborgo di Buenos Aires in cui da dieci anni il titolare passa la più parte del suo tempo, “Volver” non ha cambiato la situazione, nonostante Encore encore, vertiginoso disco-rock con un inserto rap a due voci (l’altra quella della Mastroianni) che lo rende ancora più Blondie, avesse il potenziale per risuonare dalle radio a ogni latitudine. Sarà per un’altra volta? Per intanto non si può che abbozzare e applaudire, stupefatti dalla forza di un programma senza un cedimento lungo quindici tracce e un’ora. Ogni brano un centro. Dalla cinematica ballata omonima che lo apre, inondata di archi struggenti, a una Hollywood Palermo che lo suggella tropicale se non tropicalista, andando dietro a una Avec le temps (da Léo Ferré) trasformata dal nostro uomo in una sua My Way. Citazioni sparse dal favoloso resto: una Mala siempre fra Cuba e Giamaica; il valzer alla Leonard Cohen La mémoire; il Nino Rota girato disco di Roma (amoR) e il Morricone che invece lo stesso di L’alcool, l’absence; la ballata pianistica Arrivederci; due canzoni a irresistibile ritmo di cumbia, Ça vole bas e Pardonnez-moi, che avrebbe potuto scrivere il miglior Manu Chao prima di diventare una macchietta.

Ci sono un sacco di voci femminili in “Volver”. A risuonare – piana – in Happy Hour quella di Catherine Deneuve. Ex-suocera e che gli vuoi dire a uno così? Dategli una possibilità, a Benjamin Gainsbourg.

10 commenti

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10 risposte a “I migliori album del 2017 (2): Benjamin Biolay – Volver (Barclay)

  1. Gian Luigi Bona

    Grazie Venerato! Non lo conoscevo purtroppo. Lo recupero sicuramente.

  2. Ho ascoltato il tuo consiglio e ho ascoltato, e ciò mi ha confermato che, nonostante i Limiñanas, nel mio mondo è meglio che la Francia resti dov’è.
    Devo dire che a questo punto sono curioso del vertice della classifica. Ciao

    • Sui Limiñanas, avendo appena scritto del loro ultimo disco, posso parlare con passabile cognizione di causa: sarebbero grandiosi, se solo non fossero già esistiti Velvet Underground e White Stripes. Ben altro ci ha regalato la Francia, a partire naturalmente da Gainsbourg e dai migliori Clash di riserva di sempre, ossia i Mano Negra.
      Ma… nemmeno i Magma nel tuo mondo?
      Sia come sia: i gusti son gusti e dunque insindacabili.

      • I Magma poco, ma devo approfondirli, specie dopo questo suggerimento. Quanto ai Limiñanas, i referenti che elenchi mi paiono propri di un bel po’ di gente, e almeno i nostri ci mettono quel non so che di Morricone e Bacalov, oltre al cantato gallicistico, che li rende originali nel loro genere.
        Vada per l’intangibilità dei gusti, posizione che beninteso mi vede aderente, ma davvero è emerso tutto ‘sto ben di dio dalla Francia? A me sembra la solita roba…francese.
        Grazie della risposta.

      • Ma ti pare… 🙂 Però dire “la solita roba francese” suona un po’ come “la solita roba italiana”. Non è che Négresses Vertes e Métal Urbain siano la stessa zuppa, no?

      • Touché (va bene così?😬). È il cantato in francese che secondo me non funziona, anche se oggettivamente in certi generi ci sta bene (Gainsbourg, beninteso, ma anche Alpha Blondy). Per “solita roba francese” intendevo quell’approccio ad atteggiarsi come sempre “diversi” e “alternativi” che mi pare caratteristico dei musicisti francesi, specialmente in tempi recenti (diciamo dalla seconda metà degli anni Novanta); senz’altro un’esagerazione, la mia, ma era un modo per rendere l’idea: spero di esserci riuscito meglio adesso.
        In ogni modo, resta più un problema di gusti che di critica seria.

  3. me li becco sempre i tuoi titoli…

  4. Massimiliano Rosso

    Fan del Benjamin dai tempi di Rose Kennedy… bravo anche dal vivo, chapeau Boia Faus!

  5. Angelo

    Preso al volo non lo conoscevo… bellissimo.

  6. Gian Luigi Bona

    Molto bello.
    Peccato che il francese non lo afferro…

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