Un mese fa ho dovuto scrivere dell’ultimo (noioso) Eminem. Lì, in un brano chiamato In Your Head, è presente un campionamento di Zombie e lì è cascato l’asino. L’ho citato. Così facendo ho inavvertitamente sciupato quello che sarebbe stato se no un miracoloso percorso netto: ventisette anni (tanto sono andati avanti i Cranberries) non solo senza mai recensirli (che già sarebbe stata una performance rimarchevole, visto che in ventisette anni di recensioni ne ho scritte alcune migliaia) ma addirittura senza mai nominarli. Mai. Come testimonia il mio archivio digitale, inaugurato per curiosa coincidenza proprio nel 1991, per oltre un quarto di secolo ho vissuto nello stesso mondo in cui vivevano loro senza che le nostre strade si incrociassero una singola volta. A momenti da non crederci, visto il mestiere che faccio, visto che stiamo parlando di un gruppo che ha venduto quei quaranta milioni di album. Al sottoscritto, non uno. A casa mia ci saranno un 18.000 dischi e nemmeno una canzone dei Cranberries. La banale verità è che non hanno mai voluto dire nulla per me. Ovviamente non mi piacevano, ma nemmeno li detestavo. Serena indifferenza. Così sono rimasto un po’ spiazzato, ieri sera, vedendo la mia home di Facebook riempirsi di messaggi non di circostanza per la scomparsa di Dolores O’Riordan. Scoprendo che ha voluto dire tanto anche per miei coetanei, o per gente appena più giovane di me.
E la morale di questa storia qual è? Boh. Che sono solo uno snob del cazzo, probabilmente.