Non c’è due senza tre e, se all’inizio della collaborazione l’accoppiata fra una cantante gospel e il chitarrista di un gruppo (gli Wilco) capace di coprire dall’Americana al post-rock poteva parere bizzarra, oggi Mavis Staples e Jeff Tweedy sono a tal punto sintonizzati che lui può firmare l’intera scaletta di “If All I Was Was Black” ponendosi nei panni di una donna di colore e risultare credibile. Quando le canta quelle canzoni è come se le avesse scritte lei. Ennesimo miracolo inscenato dalla piccolina di casa Staples in una prodigiosa terza età che l’ha vista raccogliere il testimone degli Staple Singers dal 2007, dallo stringersi di un altro sodalizio sulla carta implausibile, quello con un’etichetta di ascendenze punk quale la Anti-. La signora già aveva sessantotto anni quando “We’ll Never Turn Back” la sottraeva agli annali della black music per riproiettarla nell’attualità, complice la regia di un Ry Cooder in stato di grazia.
A proposito… Se costui fosse divenuto uno degli Stones (la possibilità ci fu) avremmo potuto godere di gemme come la Little Bit che apre, riffeggiando elastica e ipnotica, il programma del terzo atto di una collaborazione principiata nel 2010 con “You Are Not Alone” e proseguita nel 2013 con “One True Vine”. Formidabile introduzione subito superbamente doppiata da una traccia omonima da regalare con urgenza a Rod Stewart per restituirgli credibilità. O quella, o Ain’t No Doubt About It. Ma andrebbe citata per intero una scaletta che nel complesso rappresenta una riflessione battagliera e singolarmente amara, per un’artista che ha sempre fatto della positività uno dei suoi tratti distintivi, sullo stato dell’Unione. La speranza affidata a uno spiritual, We Go High, chiaramente ispirato da un celebre discorso di Michelle Obama.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.394, dicembre 2017.