Formalmente per questo trentenne californiano “Freedom’s Goblin” è il nono album, conteggio cui ne andrebbe aggiunto un decimo a nome Ty Segall Band. Sapendo che il debutto usciva nel 2008 parrebbe una produzione di accettabile abbondanza, ma chi segue l’underground USA sa che non è così. Per cominciare perché il giovanotto prima di intraprendere la carriera solistica già aveva pubblicato un paio di dischi con i garagisti Epsilons e poi e soprattutto perché, a fianco di quella “ufficiale”, vanta una mostruosa discografia parallela, titolare di una messe di altri album in tirature limitate (in vinile o in cassetta) e inoltre parte di vari gruppi o alle prese con assortite collaborazioni. Decine poi i singoli e gli EP e, tenendo presente che suona molto dal vivo, dove lo troverà il tempo? Ma la vera domanda è: come possiamo trovarlo, noi? Ecco: se siete di quelli che si sono scoraggiati, o viceversa Ty Segall manco lo avevate mai sentito nominare, “Freedom’s Goblin” è il suo singolo – anche se in vinile è doppio, vista una durata sull’ora e un quarto – lavoro da avere. Quello al cui confronto pure i migliori fra gli altri paiono minori e roba cui si può rinunciare. A questo no.
È come fosse un “Greatest Hits” dell’autore, a parte che è composto da brani (diciannove) inediti eccetto uno che rielabora un pezzo già noto. Ed è un po’ il suo “London Calling”, in quanto enciclopedia del rock – principalmente anni ’60 – che più ama. Vi si rinviene di tutto: dal weird folk all’hardcore, dalla psichedelia più sognante al metal, passando per ballate alla Beatles e altre cantautorali, schizoidi escursioni no wave e jam alla Crazy Horse, del power pop, persino della disco (squisitamente perversa). Grande è la confusione sotto i cieli? Proprio no. Tutto si tiene. Magnificamente.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.396, febbraio 2018.
pienissimamente d’accordo col VMO…
https://turrefazioni.wordpress.com/2018/02/19/retronow-ty-segall-diventa-un-grande/