Make It Easy On Yourself: per i novant’anni di Burt Bacharach

Compie oggi novant’anni un uomo le cui canzoni – così certifica “Wikipedia” – sono state coverizzate da oltre mille diversi solisti e gruppi. L’autore di decine di classici del pop e del soul (ma anche di una pietra d’angolo del garage-punk) otteneva il primo incarico importante da musicista professionista, ventottenne, quando il compositore Peter Matz lo segnalava a Marlene Dietrich, cui serviva un arrangiatore e direttore d’orchestra.

Artisti vari – Motown Salutes Bacharach (Motown, 2002)

Incontro tanto ovvio da essere obbligato quello che si celebrava, in prevalenza nella seconda metà dei ’60, fra Burt Bacharach e la Motown: da un lato un raffinato autore pop bianco con nelle corde vibrazioni soul, dall’altro l’etichetta che vantava di essere “il suono della giovane America”. Ovvero la musica nera resa più che mai seducente, con melodie orecchiabilissime e arrangiamenti in grado di rendere anche il funk una faccenda sofisticata e interrazziale. Se anche nessun artista dell’etichetta di Detroit registrava un album dedicato a Bacharach (ove si aveva, per dire, un “The Supremes Sing Rogers And Hart”), sue composizioni si trovavano disseminate un po’ ovunque. Curioso che a nessuno sia venuto in mente all’epoca di radunarle e che si provveda soltanto adesso. Ne risulta un’ora frizzantissima, forse non indispensabile né per gli estimatori di Bacharach (e dell’inseparabile sodale Hal David, non dimentichiamolo) né per quelli della premiata ditta Berry Gordy, ma che risulterà gradita agli uni e agli altri e sarà una scoperta per un pubblico più generico.

Nel folto programma (diciotto brani) c’è del graziosamente pletorico: la The Look Of Love di Gladys Knight & The Pips, la I Say A Little Prayer e la Anyone Who Had A Heart di Martha & The Vandellas, la Walk On By di Smokey Robinson & The Miracles nulla aggiungono alle tante versioni già ascoltate (ma si tratta pur sempre di canzoni immani). Vantano al contrario scelte peculiari una This Guy’s In Love With You di Jimmy Ruffin clamorosamente proto-Barry White e le versioni di Stevie Wonder (con l’armonica a rimpiazzare la voce) di Alfie e A House Is Not A Home. Che con il titolo ci ricorda (tanto altro ce lo rammenta altrove) quanto Bacharach influenzò i Love di “Forever Changes”.

Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.501, 17 settembre 2002.

Isley Meets Bacharach – Here I Am (Dreamworks, 2003)

Sul davanti di copertina Ronald Isley e Burt Bacharach fissano la camera da dietro una scacchiera e sorridono soddisfatti: l’ascolto di “Here I Am” chiarirà perché. Sul retro sono colti di schiena, non più in abiti casual ma in smoking. Seduti dinnanzi a un piano discutono, il primo gesticolante con la sinistra, la destra appoggiata sulle spalle del secondo in un gesto di affettuosa familiarità. Si conoscono d’altronde dal 1962, da quando Ronald racconta che, in studio con i fratelli, stava per incidere la poi classicissima Make It Easy On Yourself ma Bacharach ebbe da ridire per dei cambiamenti nel testo. Non se ne fece nulla. Quel giorno gli Isley Brothers registrarono invece Twist And Shout e il seguito è storia.

Con i due ormai in età se non veneranda certamente avanzata e nondimeno in forma smagliante – a mezzo secolo dagli esordi Ronald declina errebì aggiornato e di successo grazie a un fortunato incontro con R. Kelly e per Burt gli omaggi non si contano -, la collaborazione infine si concretizza, con un album che segue una strada opposta rispetto al pregevole “Painted From Memory”. Là Bacharach traeva linfa dall’incontro con Elvis Costello per evidenziare come la sua penna sappia ancora essere ispirata. Qui in apparenza compie un viaggio nella memoria, dirigendo un’orchestra di quaranta elementi in tredici sue creazioni celeberrime che il socio interpreta con voce serica che rimanda a Sam Cooke come non mai: canzoni che non vi è chi non abbia fischiettato, da Alfie a Raindrops Keep Falling On My Head, a The Look Of Love, a Anyone Who Had A Heart. Ma non c’è nostalgia in questo disco senza tempo, essendo nuovissimi gli arrangiamenti, giocati fra Brasile e jazz. Melodie intoccabili, felicemente toccate.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.244, marzo 2004.

4 commenti

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4 risposte a “Make It Easy On Yourself: per i novant’anni di Burt Bacharach

  1. Oliviero

    Venerato Maestro, ho un attacco di ignoranza (o di amnesia)! Qual è la “pietra d’angolo del garage-punk” che dobbiamo alla penna del grande Burt? Grazie!

  2. Oliviero

    Ah, già!!! Quella che apre il mitico primo album!!! Che babbo sono stato a non pensarci. Del resto, va detto a mia parziale attenuante, c’è davvero da perdersi, perché basta dare un’occhiata alla lista delle covers più famose di Bacharach per imbattersi in OGNI genere musicale, dal lussureggiante soul orchestrale di “Walk On By” rifatta da Isaac Hayes al rock psicopatico di “I Just Don’t Know What To Do With Myself” rifatta dai White Stripes, passando per la cowboy song psichedelica di “The Man Who Shot Liberty Valance” rifatta da Henry Kaiser in quel disco pazzesco (comprato grazie a te!) che era “Those Who Kow History…”. Grazie di aver soccorso la mia memoria, Venerato Maestro, e stammi bene. P. S. Complimenti per l’articolone su Fogerty/CCR su “Classic Rock”.

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