Lo so, è una frase fatta e abusata, ma a volte il destino sa sul serio essere cinico e baro. Lo era con James Honeyman-Scott. Moriva per un tiro di troppo di cocaina e che amara ironia che quel tiro di troppo fosse il primo e unico della sua vita. A stroncarlo era difatti un infarto dovuto a un’intolleranza che evidentemente non sapeva di avere per la sostanza in questione. Se ne andava il 16 giugno del 1982 e altro che iscriversi al famigerato “club dei 27”! James di anni non ne aveva che venticinque (e mezzo). Ma a proposito di Fato insopportabilmente cinico, ferocemente baro: succedeva due giorni dopo una drammatica riunione durante la quale lui, la cantante Chrissie Hynde e il batterista Martin Chambers avevano preso la decisione di allontanare dal loro gruppo il bassista Pete Farndon. Motivo? La tossicodipendenza (da eroina) ormai fuori controllo di costui. Nel giro di quarantott’ore i Pretenders si vedevano dimezzati (Farndon verrà stroncato da un’overdose da lì a dieci mesi) e naturalmente nulla sarà più lo stesso. Che spreco pazzesco di talento… A oggi (l’ultimo risale appena allo scorso ottobre) gli album in studio griffati con il riverito nome sono undici, ma soltanto i primi due possono esibirlo a buon diritto. Non è tanto un giudizio di merito, per quanto dopo il terzo ed eccellente “Learning To Crawl” la qualità media si sia inabissata. È che con Honeyman-Scott e Farndon avevano un suono che senza di loro si rivelerà irriproducibile. Ma andiamo per ordine?
Chrissie Hynde nasce ad Akron, Ohio (stessa città dei Devo e con Mark Mothersbaugh condividerà un complesso giovanile), nel 1951. Ventiduenne attraversa l’Atlantico per trasferirsi a Londra. Scrive per qualche tempo per il “New Musical Express” e poi passa a lavorare presso SEX, la boutique di Vivienne Westwood e Malcolm McLaren che fungerà da incubatrice al punk. Si trova così al centro della nascente scena e non si conteranno gli incroci (non sto a dettagliare per non finire lungo) con gente poi divenuta famosa. La faccio breve. A inizio 1978 la ragazza incide un demo che le procura un invito da parte di Dave Hill per un’audizione durante la quale esegue quelle stesse canzoni alla testa di un trio improvvisato con al basso tal Mal Hart e alla batteria Phil Taylor dei Motörhead. Favorevolmente impressionato dalla qualità dei materiali e soprattutto intuendo in Chrissie la stoffa della star, Hill le offre un contratto per l’etichetta che ha appena fondato, la Real Records, con l’intesa che formerà una band vera e propria. Originario di Hereford, capoluogo dell’omonima contea, Pete Farndon è il primo a venire reclutato ed è lui a presentare alla capobanda un chitarrista originario della stessa cittadina e quattro anni più giovane, James Honeyman-Scott. Dopo alcuni batteristi passati come meteore, a sedersi dietro piatti e tamburi è un terzo compaesano, Martin Chambers, ed è quel giorno del luglio 1978 che i Pretenders (che senza ancora avere un nome già avevano registrato alcuni brani al Regents Park Studio) nascono a tutti gli effetti. Alchimia magica quella che si crea, determinata dallo stile chitarristico da autodidatta della Hynde, cui strumentisti viceversa provetti come Honeyman-Scott e Chambers (Farndon è invece uno che supplisce con grinta e inventiva a una tecnica basilare) si adattano con una lieve sfasatura sulla battuta che rende il sound unico. Non bastasse la fenomenale voce della cantante: tono oscillante fra rock’n’roll e romanticismo, il maschiaccio e il sensuale. Incredibile che Nick Lowe non colga il potenziale del quartetto e, dopo avere prodotto la cover dei Kinks – Stop Your Sobbing, beat sentimentale ma pure di bella energia – che nel gennaio ’79 sarà il lato A del primo 45 giri, declini l’offerta di curare la regia del primo 33. Gli subentra Chris Thomas ed è un’altra scintilla che scocca: sarà il quinto Pretender pure quando i Pretenders originali si troveranno ridotti a due. Nell’omonimo LP d’esordio, che andrà nei negozi nei primi giorni del 1980 e raggiungerà il primo posto della classifica UK e il nono di quella USA, Stop Your Sobbing sigilla la prima facciata. La apre il riff a cento all’ora del monstre power pop Precious, cui vanno dietro una The Phone Call di esplosività trattenuta, il midtempo con chitarre squillanti Up The Neck, la frenesia sull’orlo del punk di Tattooed Boys, il funk strumentale Space Invader e una The Wait scandita da un altro riff di memorabilità immediata e totale. Giri il disco e a dare il cambio al romanticismo pop di Kid è il reggae da manuale (Grace Jones se ne approprierà subito) Private Life e a quello l’errebì bianco Brass In Pocket. Qui lo dico e mai lo negherò: il momento in cui Chrissie scandisce l’ultimo verso del ritornello – “gonna use my, my, my imagination” – è il più sexy della storia del rock. Punto. Nulla potrebbe sensatamente seguirlo, ma la dolcissima Lovers Of Today e la gioiosa, rovinosa apoteosi di elettrica graffiante, basso funk e batteria squadrata di Mystery Achievement lo fanno. Ed è un trionfo.
Sono passati trentasette anni (quasi trentotto in realtà dacché venne registrato) e “The Pretenders” nulla ma proprio nulla ha perso in dirompenza e freschezza. Multiforme la sua forza, che risiede (parole che prendo in prestito da Stephen Thomas Erlewine) “nell’elegante fusione di rock’n’roll alla Stones, new wave di gusto pop e aggressività punk, orecchiabilità spiccata e attitudine viziosamente cool”. Potrei aggiungere: nell’essere femminile e femminista insieme – nella pratica, prima che nella teoria – di Chrissie Hynde. È un album me-ra-vi-glio-so e meravigliosa è la riedizione Original Master Recording che da alcuni giorni gira sul mio stereo. Infedele all’originale nella confezione (la copertina è diventata apribile; riprodotte al suo interno quelle che erano le due facciate della busta) quanto fedelissima a un’incisione che prende possesso della sala d’ascolto con una vividezza, una tridimensionalità sconosciute alle stampe d’epoca. James Honeyman-Scott e Pete Farndon rivivono. Sfortunatamente, solo nello splendore del suono stereofonico.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.386, aprile 2017.
verità di Vangelo, direbbe Kit Carson. PS: nella mia personalissima opinione, il secondo vale poco ma proprio poco poco meno e ‘Learning to Crawl’ é esattamente quello che dice il Maestro: eccellente. Dopo di lui, il diluvio
Quanto ho amato questa donna. Anzi, se ci ripenso, la amo ancora.
Poi venne il ranocchio coi foruncoli… Ma quella è un’altra storia 😉
Mmmmm. Questa mi sa che l’ho colta solo io e ci ho pure dovuto pensare su un attimo.
Dall’uomo con le palle al ranocchio coi foruncoli. Fantastico.