È nei negozi da poco più di un mese il nuovo album degli Orb, il loro quindicesimo. Gradevole e inutile, come gli altri dodici andati dietro a quei primi due che restano viceversa imprescindibili: ancora più del debutto “Adventures Beyond The Ultraworld”, datato 1991, il successivo di un anno “U.F.Orb”.
Lo so: come emozione è da poco e a lungo andare roba da cane di Pavlov e nondimeno dacché ascoltai per la prima volta quest’album, allora appena uscito ed era il marzo ’92, a 1’48” della title track la mia reazione è sempre la stessa. Tensione e rilascio e tensione ma adesso gioiosa, sollievo ed esaltazione quando, dopo oltre cento secondi di svagate macchinazioni ambient con tanto di elicottero che fa molto “The Wall”, la batteria scatta dritta ed elastica e una versione freakadelica della house prende il centro del proscenio. È uno di quei piccoli momenti perfetti che il pop ogni tanto regala. È uno di quei momenti in cui ti chiedi: ma se era una cosa così ovvia da fare, perché nessuno l’ha fatta prima? E siccome la perfezione è per definizione imperfettibile da qui in poi gli Orb, in breve ridotti ad alias del solo Alex Paterson, non potranno che scendere e scenderanno parecchio. Il che nulla toglie all’ininterrotta gloria di tre anni invariabilmente formidabili dopo l’esordio non ancora a fuoco del Kiss EP.
Una rivelazione il singolo A Huge Ever Growing Pulsating Brain That Rules From The Centre Of The Ultraworld (lungo quanto il titolo: ventidue minuti) che campionava l’oceano e Minnie Riperton (chi più immenso?). Una superba conferma l’album “Adventures Beyond The Ultraworld”, che in Little Fluffy Clouds metteva assieme Steve Reich e Richie Lee Jones e che razza di incontro era. Maturo il capolavoro, arrivava da pronostico con “U.F.Orb”, un mammuttone di settantaquattro minuti e due secondi che questa “Deluxe Edition” fa ulteriormente obeso con un secondo CD di remix suggellato da Assassin, un singolo escluso in origine dall’album. Mettiamola così: i Pink Floyd di “Dark Side Of The Moon” prodotti da Lee “Scratch” Perry; Mike Oldfield che come un Gregor Samsa alla rovescia si sveglia una mattina e scopre di essere diventato Sun Ra; i Gong (a proposito: eccolo lì Steve Hillage) che calano ecstasy invece di LSD; i Tangerine Dream trapiantati a Detroit dopo essere passati da Ibiza. La forza di “U.F.Orb” è che finiva di smantellare quel muro divisorio fra rock ed elettronica ritmica tirato giù qualche mese prima da “Screamadelica”. La forza di “U.F.Orb” era che redimeva robe che avremmo detto irredimibili, cavando diamanti dalle pattumiere della storia. O almeno facendoci ipotizzare per un attimo che lo fossero, diamanti. Nasceva insieme antico e futuribile, pareva di un altro mondo ma piaceva assai agli abitanti di questo, tanto da andare al numero uno delle classifiche britanniche. È invecchiato bene, cioè per niente.
Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.640, novembre 2007.