Grande eccitazione la sera del 25 settembre 1964, un venerdì, alla Philharmonie Hall della allora Berlino Ovest, una stella di abbacinante fulgore chiamata a chiudere il primo festival jazz organizzato nella ex- e futura capitale. Favoloso oltretutto, ma di questo ci si renderà conto nei mesi e anni successivi, il quartetto di accompagnatori appena assemblato da Miles Davis. Al sax Wayne Shorter, che il trombettista corteggiava sin dal ’60 e ha infine strappato a Art Blakey. Dietro al piano siede Herbie Hancock, ventiquattro anni appena ma già un cv impressionante per collaborazioni e discografia in proprio e, a proposito di gioventù prodigiosa, che dire del batterista Tony Williams? Ancora deve compiere diciannove anni. Completa la sezione ritmica il contrabbasso di Ron Carter, che con i suoi ventisette anni ne concede undici al capobanda. È appena il loro terzo concerto insieme, ma mai lo si direbbe per come approcciano un programma di soli classici, in un’ora di assoluta magia. La conformazione ad anfiteatro della sala fa sì che Miles non possa suonare come preferisce, con le spalle rivolte alla platea, e allora ogni tanto si accoccola per terra. Posizione bizzarra che non gli impedisce di porgere assoli sublimi, pieni di lirismo e sfumature, ma anche di forza. Se Autumn Leaves si distende tenerissima concedendo una benvenuta pausa, Milestones, So What e Walkin’ vengono affrontate a velocità mozzafiato, con virtuosismi da vertigine (fenomenale Shorter nella seconda) e nello stesso tempo con il rilassato abbandono dato dall’alchimia subito, miracolosamente creatasi fra i musicisti.
Fra gli innumerevoli live di Davis è uno dei più cruciali di prima della svolta elettrica e tuttora suscita stupore la sua uscita solo in Europa all’epoca. Oltre a quella tedesca, datata 1965, l’unica altra edizione in vinile prima di questa è una giapponese del 1967 (negli USA “Miles In Berlin” vedrà la luce solamente nel 2005 e in CD, con la scaletta originale riprodotta per intero grazie alla preziosa aggiunta di una Stella By Starlight di quasi tredici minuti). Sorprende pure la scelta della Speakers Corner di ristampare non la versione stereo, bensì quella mono. In ogni caso cromaticamente inappuntabile e di dinamica paragonabile alle migliori incisioni dal vivo del tempo.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.393, novembre 2017.
Miles Davis il magnete, il Re Sole. Un quintetto dopo l’ altro, inappuntabili. Poche volte nella storia della musica tutta si è vista – ascoltata – una simile capacità e conoscenza quasi extrasensoriale nell’ assemblare formazioni prodigiose ( anche Art Blakey con i Jazz Messengers non fu da meno). Mi chiedo quanti dischi di quest’ uomo sovente difficile e sfuggente ancora non conosco (questo lo voglio!!!), quante miniere inesplorate ci ha lasciato. Ringrazio il VM per le piccole febbriciattole da sovraeccitazione psichica provocate dalla ansiosa lucida attesa dell’ ascolto, da rimandarsi a data ignota.
Grazie, bella recensione. Vorrei solo aggiungere che “Miles in Berlin” era già stato stampato in vinile negli USA (e nel resto del mondo) nel 1983, come secondo LP del doppio album Columbia “Heard Round the World” (il primo LP era “Miles in Tokyo”).
Quel che si dice avere lettori veramente preparati e meticolosi: della ristampa in questione non si trova traccia né su “Wikipedia”, né sulla “All Music Guide”. E nemmeno in varie enciclopedie che ho in casa. Grazie della segnalazione.