Come da pessima usanza sempre più diffusa, del quattordicesimo album in studio (da solista; ce ne sono poi e anzi prima sei con i Jam e altrettanti con gli Style Council) del Modfather circolano due edizioni: quella per così dire “normale” e una “Deluxe”. Perché, dai, per quale ragione aspettare il decennale per sfruttare il cultore che ancora si ostina a comprarli, i dischi, quando un po’ di sangue in più puoi succhiarglielo subito? Che poi chi lo sa fra dieci anni in che condizioni sarà, l’industria della musica. Sia come sia: farà bene l’appassionato di cose welleriane a spendere quei quattro euro in più per la versione da diciannove tracce e un’ora e un quarto di “True Meanings”, lasciando negli scaffali quella presa qui come riferimento, che di brani ne conta quattordici per complessivi cinquantacinque minuti. Glielo consiglio non per solleticarne le smanie collezionistiche ma perché, pletoriche le versioni strumentali offerte come bonus di una Glide di afflato Cat Stevens e dello stiloso jazz-blues Old Castles, i tre remix che le precedono si fanno apprezzare più delle incisioni scelte per l’edizione standard. Meglio la The Soul Searchers che Richard Hawley funkizza facendo entrare la ritmica subito e non dopo oltre due minuti, una Aspects che da accorata che era in un dilatato RaVen Remix si fa spettrale, una Mayfly che la Reflex Revision irrobustisce e annerisce, nel senso black del termine.
Fatto è che se Paul avesse preferito le suddette di letture a quelle incluse nel programma regolare avrebbe avuto come effetto di movimentare questa collezione di confidenziale, autunnale folk-rock rendendone più vario un mood eccessivamente uniforme per l’uomo degli “ever changing moods”. Più di forma (gli arrangiamenti sono elegantissimi) che di sostanza.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.403, novembre 2018.