Madre nipponica, padre statunitense, la ventisettenne Mitski Miyawaki chiede riservatezza sul lavoro di quest’ultimo, che è la ragione per cui è cresciuta cambiando spesso, oltre che casa, paese (tredici!) e continente (quattro). Interessante comunque sapere che costui nutre una grande passione per il folk e che la figlia veniva su circondata dalle raccolte degli Smithsonian Recordings così come dai CD di pop giapponese della mamma. Stabilitasi a New York si iscriveva al conservatorio, dove studiava composizione, e fra il 2012 e il 2013 concepiva i primi due album – autoprodotti e disponibili soltanto come download, tant’è che vi è chi conta come esordio il successivo, del 2014, “Bury Me At Makeout Creek” – come tesine scolastiche. Il primo è un lavoro pianistico, il secondo orchestrale. Cominciando a fare dischi “veri” Mitski sceglieva la chitarra, sceglieva il rock. Notevole l’impatto due anni fa di “Puberty 2”, apprezzabili le vendite, plaudente la critica. “Be The Cowboy” già sta facendo meglio, più di qualcuno azzarda che sia nata una stella ed è facile pronosticare che il terzo o quinto album della ragazza sarà a fine anno in molte playlist. Con merito.
Sono solo 32’28” ma davvero zeppi di idee e sorprese, a cominciare da uno spostamento verso lidi più pop, complice la riscoperta da parte dell’artefice delle tastiere. Per quanto ad esempio in A Pearl la chitarra elettrica morda e Remember My Name paia un memento che chi l’ha scritta è stata in tour con i Pixies. Se pure l’iniziale Geyser esibisce tratti abrasivi, Why Didn’t You Stop Me? declina invece synth-pop da manuale; se Lonesome Love profuma di country, Nobody e Washing Machine Heart puntano il dancefloor. Meraviglioso poi il romantico folk da camera della conclusiva Two Slow Dancers.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.403, novembre 2018.