Datava tre anni il predecessore di “We’re Your Friends, Man”, “Example 22”, ed era già il secondo silenzio più lungo di sempre per questo signore londinese arrivato tardi a esordire discograficamente – era l’87 e Nick Saloman vedeva gli “anta” all’orizzonte – ma poi rifattosi, pubblicando una quindicina abbondante di titoli in un decennio. Profluvio di uscite tale da stancare anche chi, come il sottoscritto, può vantarsi di essere un cultore della prim’ora, possessore di una delle duecentocinquanta copie del debutto “Miasma”, di una delle trecento – autografate singolarmente a distinguere gli originali dal bootleg approntato da qualche furbetto nostrano – del primo doppio, “Through The Looking Glass”. Di quell’ultralisergico, ultraelettrico rock chitarristico con qualche oasi di folk stralunato ero innamoratissimo e tanto di più si rafforzava la passione quando quel sound anni ’60 veniva modernizzato nel capolavoro del ’91 “New River Head” da una robusta iniezione di punkitudine alla Wipers/Hüsker Dü. Però dopo un po’ basta, perché il troppo stroppia. Oppure no, trattandosi di Bevis Frond?
Che ritiratosi dalle scene nel 2004 e tornato ad affacciarvisi nel 2011, non solo riconquistando i vecchi cultori ma guadagnandone di nuovi grazie a un live act di formidabile memorabilità, tiene da allora ritmi produttivi soltanto apparentemente più blandi, un album ogni due o tre anni ma trattasi sempre di doppi. Pure questo lo è, venti tracce per buoni ottantacinque minuti, la ballata folk che convive con la jam hendrixiana o alla Crazy Horse, fra siparietti incantati e assalti popcore che a infilarli in un disco di Bob Mould nessuno noterebbe stacchi. Il livello è al solito alto, anche se non consiglierei a chi non conosce il nostro uomo di partire da qui.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.404, dicembre 2018.
medieval sienese acid blues….gran bella roba tutt’ora. Saluti VMO!