Ma davvero? Ma sul serio a quarantatré anni dalla pubblicazione di quel “Pampered Menial” che guadagnò all’allora settetto di St. Louis la nomea di “King Crimson d’America” (in realtà, se qualche somiglianza c’era i Pavlov’s Dog erano e restano band di peculiarità assoluta) David Surkamp ancora tiene in vita la prodigiosa creatura? Al di là dell’occasionale tour con l’ennesima formazione che dei fondatori schiera giusto lui, anche perché purtroppo Siegfrid Carver (violino e viola), Doug Rayburn (mellotron e flauto) e Rick Stockton (basso) già da un po’ non sono più fra noi. Ebbene sì, Surkamp invece per fortuna vive e ben più che vegeta a giudicare da un disco che ha l’ardire di richiamarsi a quel remoto e misconosciuto capolavoro sin da una copertina per cui è stata scelta un’altra opera del medesimo pittore ottocentesco, il britannico Sir Edwin Henry Landseer, celebre per le sue rappresentazioni di animali straordinariamente dettagliate e vivide.
Per il poco che vissero – un lustro: abbastanza da incidere tre LP, il primo uscito quasi in contemporanea per due case discografiche e il terzo invece cassato (non vedrà la luce legalmente che nel 2007) – i Pavlov’s Dog ebbero vicende incredibilmente complesse e non è questo il luogo per narrarle. Ciò che qui preme sottolineare è che in “Prodigal Dreamer” rivive quel suono tanto caratteristico, progressive nel senso alto del termine, reso unico dalla voce androgina del leader e da un substrato di influenze eminentemente d’oltre Atlantico. Ma resterebbe una ricreazione sterile non fosse convalidata da una scrittura ispiratissima, con vette nell’iniziale, delicata Paris, nel country girato gitano Winter Blue, nella ballata sudista Easter Day, nel folk-rock Being In Love, nella quasi canterburiana The Winds Wild Early.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.405, gennaio 2019.
Non ci si crede, no. https://turrefazioni.wordpress.com/2018/01/31/classics-revisited-nella-progamerika-dei-pavlovs-dog/
Anche se, forse, questa non è la sede migliore, mi permetto di rilevare che il tuo riferimento ai Guns ‘n’ Roses sembra fuori luogo, perché è piuttosto improbabile che Axl e soci abbiano ascoltato questo disco prima di comporre “Don’t Cry”. Mi pare più una stoccata gratuita, più da ascoltatore che da critico.
Fermo che l’album, questo album, dei Pavlov’s Dog è e resta un capolavoro, in ogni senso.
Dici che non l’avranno mai ascoltato? A volte uno resta sorpreso di vedere cosa hanno in casa i musicisti. Poi, ecco, la mia antipatia per i Pistolotti già la conosci: come dici tu, è una cosa da fan che travolge l’oggettività 🙂
Aggiungo inoltre che trattandosi di un blog, un minimo di sfogo personale ci può stare eccome. 😉
Lo sapevo che sarebbe successo! Sono felice, felice, felice!
beh sì, questo è veramente da ‘impossible is nothing’,,,
(manco a dirlo, non solo non ne ero al corrente, ma neanche me lo sarei mai sognato)
Vado a modificare l’articolo subito. A Canossa! A Canossa! (cit.)
Notevolissimo, tanta roba