Lo scorso 15 marzo ricevevo dal Consiglio di Disciplina Territoriale dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte notifica dell’avvio di un procedimento nei miei confronti. Quale la mia colpa? Non essermi mai prestato, come tanti dei colleghi che conosco (quasi tutti, a dire il vero) e che sono iscritti all’Albo (diversamente da altri che chiamo colleghi perché come me in qualche modo e misura esercitano la professione giornalistica ma senza – saggiamente – essersi mai iscritti a un ordine eccelso soprattutto nel tutelare sempre e soltanto i già tutelati), alla farsa della cosiddetta “formazione continua”. Farsa che prevede che si seguano, di persona o anche on line, corsi per lo più di spettacolare inutilità al fine di accumulare crediti che certifichino che, per l’appunto, ti stai mantenendo aggiornato. Corsi talvolta gratuiti e talvolta non proprio, come avrete modo di apprendere proseguendo nella lettura, e che da quando sono stati istituiti hanno avuto più che altro la funzione di creare un notevole indotto in un ambito in cui è normale che il redattore di un quotidiano nazionale percepisca mensilmente uno stipendio di varie migliaia di euro, con tredicesima, quattordicesima, ferie pagate e assortiti bonus mentre il ragazzino, che magari tanto ragazzino non è, che lavora non assunto per il medesimo giornale viene pagato dieci euro a pezzo. Indovinate, fra i due, chi si preoccupa maggiormente di tutelare il pregiato Ordine Nazionale dei Giornalisti.
Era da un bel po’ che meditavo di smettere di versare annualmente il mio obolo a un’istituzione nella quale da tempo non ripongo più alcuna fiducia (finirò per dare ragione a chi sostiene che sia il caso di abolirla: perché giornalista è chi giornalista fa e per tutto il resto ci sono, o dovrebbero esserci, i sindacati) e l’invito cortesemente fattomi a prestarmi a un simulacro di processo che si sarebbe probabilmente concluso, farsa nella farsa, con la radiazione dall’Albo mi ha spinto ad anticipare il prevedibile finale, dimettendomi io. Con questa lettera, inviata ieri con raccomandata a.r. al presidente del Consiglio di Disciplina di cui sopra. Ci tenevo a condividerla con chi mi fa la cortesia di leggermi: da poco, qualche mese o anno, avendomi scoperto proprio grazie a questo blog, o magari sin dal lontanissimo 1983. O, chissà, forse oggi per la prima volta.
P.S. – In realtà il distintivo ho deciso di tenermelo, col cazzo che glielo restituisco con tutti i soldi che stoltamente ho dato all’Ordine dacché mi iscrissi, ventisette anni fa, ma sono uno che non ha mai saputo resistere alla tentazione di un titolo a effetto.

Ho pubblicato il mio primo articolo su un mensile a diffusione nazionale nel febbraio 1983. Solo dopo averne firmato molte centinaia di altri decisi, nel febbraio 1992, di iscrivermi all’Ordine Nazionale dei Giornalisti, Elenco Pubblicisti. Lo feci, conscio che la cosa non mi avrebbe procurato nella pratica beneficio alcuno, unicamente perché persuaso – all’epoca; nel tempo mi avete dato non poche occasioni di dubitare di questo mio convincimento – della giustezza dell’esistenza di un ordine professionale a tutela di quanti fanno della professione giornalistica un’occupazione, principale o secondaria che sia.
Da quel febbraio 1992 gli articoli firmati, su una ventina fra riviste diffuse in edicola e siti internet, sono diventati parecchie migliaia. Tolto un periodo di cinque anni durante i quali, su richiesta della proprietà, assunsi l’incarico di direttore responsabile di una piccola testata locale nella quale già facevo funzione di direttore editoriale, avere in tasca il tesserino dell’ordine non mi è mai servito a niente. Quando si è trattato di sollecitare editori che ritardavano eccessivamente i pagamenti, o si dimenticavano proprio di effettuarli, ho fatto ricorso ai servigi di un legale mio amico e mai a quelli che l’Ordine eventualmente offre. E in trentasei anni mai ho ricevuto una querela per un qualcosa da me firmato.
Trentasei anni che includono i ventisette durante i quali sono stato iscritto all’Ordine, e di conseguenza all’Associazione Stampa Subalpina, continuando a versare ogni anno il mio obolo a questo e a quella per – posso dirlo adesso – stupido idealismo. Meditai di dimettermi una prima volta proprio quando qualcuno pensò bene di stabilire un obbligo di aggiornamento professionale continuo per gli iscritti all’Albo, per tramite di corsi per lo più a pagamento e di utilità per lo più nulla, eccetto per l’indotto che si è così creato e che permette a molti di lucrarci su. Io mi occupo di critica musicale. Recensisco dischi, scrivo articoli monografici, ho pubblicato a oggi diciassette libri e offerto contributi a una mezza dozzina di altri. Vorrei proprio trovarmi davanti uno che mi insegna come si scrive una recensione: così, tanto per farmi due risate. O che prova a migliorare il mio più che decente inglese con un corso di lingua specializzato per giornalisti, del valore di 16 crediti e al modesto costo di € 380, per ben trenta ore di tempo che posso usare facendo altro e gratis, o persino facendomi pagare io. Offerta casualmente pervenutami – come quella a imparare a usare Instagram (come se un qualunque imbecille non fosse perfettamente in grado di fare da sé), a € 162 per giorni due e crediti 16 – nei giorni immediatamente successivi al ricevimento della vostra cortese missiva.
Confesso che un po’ ero tentato di presentarmi – magari assistito da un legale di fiducia, come mi informate essere mio diritto – alla convocazione fattami per lunedì prossimo 15 aprile presso il Consiglio di Disciplina per offrire “motivazioni plausibili che giustifichino la mancata osservanza dell’obbligo formativo nel triennio 2014-2016”. O quantomeno di scrivere, sempre come da indicazioni vostre, una memoria difensiva. Ma si dà il caso che il mio amico avvocato sia ormai felicemente in pensione e io non voglia disturbarlo. Si dà altresì il caso che il sottoscritto non abbia tempo da perdere, e magari voi nemmeno, per una questione tanto risibile. Sul perché non abbia mai frequentato un corso formativo credo di essere stato abbastanza esplicito. Non mi presenterò e mi rimarrà dunque la curiosità di sapere a quale pena terribile sarei andato incontro, se all’amputazione di una mano, a una fustigazione, a una banale multa. O se vi sareste limitati a chiedermi di fare solenne ammenda e magari recuperare il tempo perduto – che so? tre anni in uno, come certi studenti un po’ pigri o tardi di comprendonio – frequentando corsi dopo corsi, qualcuno persino gratuito e gli altri ai prezzi di cui sopra. Chissà. I miei dieci centesimi li avrei comunque scommessi su una radiazione e allora vi anticipo.
Prima che procediate voi a espellermi mi dimetto io, con questa lettera, dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti. Solo, non chiedetemi di restituire il tesserino. Quello me lo tengo, in commosso ricordo delle migliaia di euro che vi ho versato nell’arco di ventisette anni in cambio, nei fatti, di un bel niente. E vorrà dire che dal 2020 (dandosi il per me sfortunato caso che per il 2019 già abbia pagato quanto dovuto) risparmierò quei 170 euro all’anno. Avrei dovuto tagliare questo inutile costo già tanto tempo fa, ma pazienza. Mi è di consolazione sapere che in tanti si comporteranno come me.
Distinti saluti.
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