Il Boss è sempre il Boss e qui tutti o quasi gli si vuole bene, e oltretutto a sbilanciarsi non avendo ancora avuto modo di ascoltarne l’ultima fatica, “Western Stars”, si rischia di venire subito smentiti, e tuttavia va detto: il suo luogotenente preferito oggi fa dischi che da Springsteen è un pezzo che ce li sogniamo. Questione di suoni: laddove Bruce da quindici anni in qua dà il meglio di sé quando si porge da folkster (in “Devils & Dust”, ovviamente in “We Shall Overcome”, ultimamente negli spettacoli riassunti nel live “On Broadway”), Miami Steve non dimentica mai di essere l’uomo che entrò nella E Street Band orchestrando la intro fiatistica di Tenth Avenue Freeze-Out. Bombastico, a patto di dare al termine un’accezione positiva. Ma questione soprattutto di qualità delle canzoni: “Summer Of Sorcery” e con esso il predecessore di due anni fa “Soulfire” sovrastano di varie spanne tutto lo Springsteen elettrico da “The Rising” in poi. Persino, sempre “The Rising” escluso, da “Tunnel Of Love”.
Non vale notare, a fronte dell’esuberanza travolgente che trasmettono, che l’iniziale Communion dà il tono all’album reinventando l’acqua calda, la ruota e “The River”, che di Party Mambo dice tutto il titolo, che Soul Power Twist è la Having A Party di Sam Cooke con testo e titoli cambiati e I Visit The Blues un ricalco del classico di Bobby Bland I Pity The Fool. L’intero “Summer Of Sorcery” è un esercizio di stile: da una Vortex da manuale blaxploitation al Wall of Sound spectoriano ricreato in A World Of Our Own, da una Gravity che declina funk alla Prince al rock’n’roll Superfly Terraplane. Fatto da gente con poca anima risulterebbe sterile. Little Steven lo rende un’ora di divertimento sfrenato.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.410, giugno 2019.
Si….come tu ben dici è una questione di suoni e in Little Steve ritroviamo le pagine migliori dell’Asbury sound che tanto abbiamo amato. Suoni che han dato tanto sia ai dischi di Southside Johnny, quanto al miglior Bruce in veste soul. Giusto ricordarlo quanto riconoscere che il Bruce ( discograficamente parlando)degli anni 00 é ben poca cosa tranne quello acustico. Ma é pur vero che dietro a Van Zandt potrebbe esserci la nostalgia di giorni che non potranno più tornare e in Bruce nonostante tutti gli errori e le cadute, il coraggio di fare qualcosa di diverso…poi che potrebbe aver bisogno di un produttore diverso o dello stesso Steve dietro alla consolle è un’altra discorso.
Armando Chiechi
Molto bello il concerto di Milano con i Disciples, gran classe. Dai Eddy facci sapere cosa pensi di Western Stars, davvero una bella sorpresa dopo un ventennio di dischi dal mediocre al penoso.