Per dare la misura di quanto Laura Nyro fosse riluttante ad accogliere ogni anche sensato suggerimento di una casa discografica, la Columbia, che pure per un quarto di secolo le fece ponti d’oro, basti raccontare questo: che quando l’ufficio marketing si azzardò – sommessamente – a farle notare come fosse inopportuno dare al suo quarto LP, che andava in distribuzione il 25 novembre 1970, un titolo contenente la parola “Christmas”, essendo scontato che i negozianti lo avrebbero scambiato per una collezione di canzoni natalizie e già a inizio gennaio lo avrebbero tolto dalle vetrine, lei insistette. Naturalmente, a inizio gennaio lo toglievano dalle vetrine, fermandone l’ascesa nelle classifiche a un modesto numero 51, ed era così che iniziava il declino commerciale di una delle cantautrici più geniali, originali, influenti (persino Joni Mitchell, una che altrimenti considera di non dovere nulla a nessuno, ne riconosce il magistero) che mai ci siano state. Giusto un anno prima della sua uscita e nella stessa settimana la Nyro, appena ventiduenne e fresca oltretutto di pubblicazione di “New York Tendaberry” (per molti il suo capolavoro), aveva mandato esaurita per più sere la Carnegie Hall e si era ritrovata con tre brani con sotto la sua firma (in interpretazioni altrui) nei Top 10 di “Billboard”.
Terzo e ultimo in una serie di classici inaugurata nel 1968 da “Eli And The Thirteenth Confession”, “Christmas And The Beads Of Sweat” rifulge in questa stampa Pure Pleasure che ne esalta la produzione raffinatissima, magistrale in particolare nella ricreazione dell’immagine stereofonica, di un piano di mirabile naturalezza, dei colori delle percussioni. Prima facciata che, non fosse per la sommessa tragedia in un atto di Been On A Train, sarebbe tutta un florilegio di gentilezza andante con brio, l’album si porge nella seconda ora estatico e ora solenne, con due eccezioni: una Beads Of Sweat che resta una delle cose più rock di sempre (alla chitarra elettrica Duane Allman) di questa artista; e Map To The Treasure, otto minuti di stupefacente tour de force pianistico che fanno categoria a sé nella sua pur incatalogabile prima metà di catalogo.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n. 396, febbraio 2018. Non fosse morta appena quarantanovenne, Laura Nyro compirebbe oggi settantadue anni. Per chi fosse interessato ad approfondire, il numero 233 di “Blow Up” (ottobre 2017; ancora reperibile come arretrato ordinandolo sul sito della rivista) contiene un mio lunghissimo omaggio (occupa ben quattordici pagine) al genio di questa artista.
Sarà da recuperare allora questo numero di Blow Up. Ricordo ancora su Mucchio Extra, credo fosse lì, uno degli articoli più belli che abbia mai letto di musica: faceva un parallelo tra lei ,Judee Sill e Karen Dalton a firma di Giancarlo Turra
Il tuo pezzo su Blow Up è da antologia!!
Ciao Francesco: quel pezzo era mio e, sì, era su un numero di “Extra”. Grazie infinite del complimento 🙂
Sono io a ringraziarti, quell’articolo è stato una rivelazione per me, in particolare per Judee Sill che non conoscevo.
A Judee is forever…