Devendra Banhart – Ma (Nonesuch)

A leggere certe recensioni del decimo lavoro in studio di Devendra Banhart (nato in Texas ma cresciuto in Venezuela non imparava l’inglese che tredicenne, quando si stabiliva in California) ci si fa l’idea che in tanti non gli abbiano perdonato ciò che per un artista dovrebbe essere naturale: allargare gli orizzonti, maturare. Passando dai demo traballanti, sia per fedeltà che per il contenere incerti abbozzi più che canzoni, che comunque gli attiravano l’attenzione di Michael Gira che ne ristampava su Young God il primo album, del 2002, e pubblicava i successivi tre, agli spartiti di ben superiore varietà e complessità che caratterizzavano nel 2005 il monumentale (certamente per dimensioni, a tratti per esiti) “Cripple Crow”, il disco del passaggio a un’etichetta ben più di peso quale la XL. Duecentomila copie vendute in giro per il mondo di cui settantamila negli USA, non cifre da capogiro ma abbastanza da fare uscire il nostro uomo dai circoli di quel weird folk (fosse stato datato anni ’60-inizio ’70 si sarebbe chiamato acid) di cui era stato eletto a vessillifero. Figurarsi quando nel 2009, con “What Will We Be”, entrava in area Warner. Detto che né quel disco né i successivi “Mala” (2013) e “Ape In Pink Marble” (2016) si collocano fra gli apici del catalogo, a me pare che nei suoi confronti certuni abbiano maturato un pregiudizio.

Fosse un esordio, per “Ma” si griderebbe al miracolo. Come si fa a non farlo per gemme come l’iniziale Is This Nice? (come un Van Dyke Parks alle prese con un cartone animato Disney), Memorial (fra i più begli apocrifi coheniani di sempre), la bossanova Love Song o il conclusivo valzer (in duetto con Vashti Bunyan) Will I See You Tonight?. Arrangiamenti raffinati e incisione di gran qualità: pure questo a qualcuno darà fastidio.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.414, novembre 2019.

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