Ciao, Ezio (ricordi sparsi di incontri con un Maestro vero)

Ho un ricordo nitidissimo dell’ultima volta che incrociai, letteralmente, Ezio Bosso. Ero in Piazza Savoia e lo vidi sbucare sulla sua carrozzella nel pieno del flusso del traffico che arrivava da Via Corte d’Appello. Ci scivolava in mezzo con uno sprezzo del pericolo che mi fece rizzare i capelli in testa, ma nonostante la velocità pazzesca a cui andava dovette scorgermi con la coda dell’occhio perché subito accostò, con un’altra manovra da farmi gelare il sangue, e attaccò allegro a chiacchierare, con me e la mia fidanzata di allora, che poi è diventata mia moglie e che naturalmente gli presentai. Rimanemmo lì una decina di minuti e bastarono alla Laura per restarne folgorata. Ezio faceva quell’effetto lì, a tutti e soprattutto a tutte. Poi si congedò, sfrecciò via e che ne sapevo che era un’ultima volta? All’epoca lui aveva una residenza a Palazzo Barolo, io fino al mese prima avevo abitato in Via Garibaldi e insomma non è che fossimo vicini di casa ma quasi. Così, molto banalmente, quando andavo a far spesa al Carrefour che è su un angolo di quella piazza mi succedeva sovente di trovarlo seduto nel dehors del bar a fianco. Se era da solo o al limite con un’altra persona mi fermavo a parlare un po’. Se invece stava tenendo corte mi limitavo a un cenno di saluto e tiravo dritto. Davo per scontato che ci sarebbe stata una nuova occasione, anche dopo avere traslocato, ma mi ero spostato giusto tre traverse più in là. Eravamo ancora quasi vicini di casa. Solo che proprio in Piazza Savoia, a un trenta metri da dove ci scambiammo parole e sorrisi per l’ultima volta, una o forse due settimane dopo – era il 5 novembre 2015 – un’auto mi investì, cambiandomi la vita per sempre.

Così quando il Maestro Ezio Bosso il 10 febbraio dell’anno dopo emozionò l’Italia suonando Following A Bird a Sanremo stavamo messi quasi – ma un quasi molto grosso – uguale. Pure io in carrozzella e con una disabilità grave e però con l’enorme differenza che, diversamente da lui, sapevo che da quella carrozzella, una seduta di fisioterapia dopo l’altra, mi sarei alzato. Non sarei tornato come nuovo, decisamente no, e però andare a ritroso per un bel pezzo si poteva. Riprendere a vivere con un orizzonte temporale indefinito, non con uno che sai per certo essere limitato, così come sai che nell’attesa non te la passerai per niente bene. Mi diede tanta forza, Ezio a Sanremo, quando ero esausto dopo avere fatto dieci passi attaccato a due parallele e dicevo a me stesso dai, e che cazzo!, se lui messo com’è riesce a fare quello che fa, tu altri dieci passi adesso te li suchi e poi dieci ancora, e finiscila di commiserarti, coglione. Mi rese anche molto popolare nell’Unità Spinale del CTO, perché in qualche modo si venne a sapere che era un mio amico e allora tutti a chiedermi di lui, di com’era, di come non era. Gente che da lì sarebbe uscita anche meglio di me (pochi; un paio), gente paralizzata per sempre dalla cintola in giù (o, bizzarramente, dalla cintola in su), o che muoveva solo la testa e un braccio, o una mano appena e quella usava per spostarsi su un mezzo motorizzato. Io lo so che Ezio detestava venire percepito per cominciare come un disabile. Non so invece (ma immagino di sì) se si rendesse conto di essere divenuto un faro per chi – così dalla nascita, o per via di una malattia, o un trauma – deve convivere con un handicap serio. Guarda quello lì. Che forza d’animo. Tipo Zanardi, solo che suona il piano e dirige pure le orchestre. Quello penso gli facesse piacere, se gli capitava di pensarci.

Pure della sera in cui lo conobbi conservo un ricordo netto, nonostante temporalmente non sappia situarla con precisione. Fine anni ’90 in ogni caso, massimo 2000 o 2001, almeno un due anni prima dunque che la colonna sonora di Io non ho paura facesse valicare alla sua fama di enfant prodige (e un po’ terrible) il ristretto circolo degli amanti della musica classica e, in particolare, della classica contemporanea, suscitando parecchie invidie nell’ambiente. Era quel tipo di situazione che ho sempre adorato e in cui mi sono trovato immancabilmente da imbucato, una di quelle cene dopo un concerto, o uno spettacolo in teatro, o un giorno di riprese, in cui si mangia bene e si beve spesso meglio, e tanto, e i musicisti o gli attori o i registi si rilassano, talvolta sbracando alla grande, e spettegolano come manco le lavandaie o le portinaie di una volta. Ezio era a centro tavola, la solita donna abbagliante a fianco (che poi, imparerò, spesso non sarà la solita), e comiziava da par suo, irresistibile. Ero lì su invito del mio amico di più lunga data, compagno di banco al liceo e violinista di notevole caratura, al tempo e per molto ancora il partner in crime preferito dal Maestro. Mi divertii immensamente. Sono un uomo fortunato. Ne ho passate certamente più di quante non me ne tornino alla memoria in questo momento di serate così con Ezio Bosso. Me ne viene in mente una ad Aosta, dopo una meravigliosa sonorizzazione per un vecchio film muto nella cornice di suo già suggestiva dell’anfiteatro romano. Ma più che altro mi si ripresentano davanti momenti sempre felicemente epicurei ma più intimi, io, il mio amico di cui sopra ed Ezio, che nel frattempo mi aveva preso in simpatia, e al massimo una o due persone ancora. La mia prima volta in quello che è diventato il mio ristorante torinese preferito, dove il Maestro era un habitué e un tavolo per lui lo rimediavano sempre, anche quando era tutto pieno. Una notte in un locale fighissimo di Via della Consolata che non esiste più e durante la quale (oh, stiamo parlando di gente alla quale è difficile star dietro) mi sa che mi fecero eccedere con i superalcolici, però a casa che era a due passi riuscii a tornarci camminando in linea retta. Un’altra in pieno agosto sull’immenso terrazzo di casa dell’amico violinista, un silenzio intorno in una San Salvario deserta che per sentirne un altro così c’è voluto il lockdown, e noi a grigliare salsicce e bistecche, bere birra e sparare cazzate. E un’altra ancora, che a ripensarci mi si stringe il cuore, a fare a momenti l’alba sotto i portici di Corso Valdocco. Ezio era già malato, gli era venuta questa parlata strana da ubriaco così penosamente diversa dalla voce che conoscevo e camminava aiutandosi con un bastone, eppure continuava a sprizzare gioia di vivere. Però un filo di umana malinconia sotto sotto non potevi non coglierlo. O così mi sembrò.

Ho potuto godere – io che di musica classica conosco giusto i classici e insomma non ne capisco niente ma Ezio diceva che non c’è niente da capire o, meglio, capirla è alla portata di chiunque: la Bellezza ci trascende e ci rapisce – non soltanto di concerti magnifici, e di quanto veniva dopo, ma del prender forma di taluni di quegli spettacoli. Nell’estate 2010 (o era il 2011?) trascorsi da ospite in un antico borgo abbarbicato alle montagne liguri una settimana durante la quale lo vidi preparare giovani allievi e allieve a farsi orchestra. Guidandone il percorso con mano tanto lieve quanto ferma e tuttora non saprei dire se a impressionarmi maggiormente fu l’eccezionale dimostrazione di etica del lavoro applicata cui stavo assistendo o la leggerezza di tocco della regia. In un’unica occasione, ravvisando una diminuzione di tensione, uno sfilacciarsi del suono, rimproverò gli orchestrali. Non fu per niente una scenata, ma divenne improvvisamente così serio che non volava una mosca, disse quanto aveva da dire senza mai alzare la voce e poi “da capo, dal punto…”. Lo risuonarono perfetto quel movimento. Un gran sorriso. “Visto che lo sapete fare? Pausa.”

Una volta l’ho intervistato, Ezio Bosso. Anzi: due. Mi era venuta l’idea che un personaggio così trasversale e – in ogni senso – curioso, uno che non solo a inizio carriera aveva avuto un piccolo flirt con il rock ma come attitudine era strepitosamente rock’n’roll, potesse risultare interessante per il pubblico del “Mucchio”.  Proposi. Approvarono. Ezio ne era entusiasta e questo suo entusiasmo gli veniva dalla rara occasione (tenete conto che stiamo parlando del 2008; la sua notorietà era un ventesimo, un cinquantesimo di quella che gli regalerà Sanremo e tutto quanto è venuto dopo) datagli di rivolgersi a una platea tanto diversa dalla sua usuale. Così mi preparai per bene, comprai i dischi che già non avevo (le colonne sonore; cercatele, sono stupende) e per una paradisiaca settimana mi ci immersi. All’intervista che – per dire quanto il nostro uomo fosse fuori da ogni schema – era fissata per l’intervallo fra prove e concerto non in uno dei luoghi tipici della musica classica bensì in un club dove abitualmente si suonava elettronica, e pure situato in una zona alquanto malfamata, arrivai però senza domande scritte, giusto con un canovaccio in testa. Tanto, conoscendolo ormai discretamente bene, sapevo che sarebbe bastato lanciargli due o tre ami e al resto avrebbe provveduto lui. Fu eloquente, torrenziale, esilarante. Espose la sua biografia, parlò incidentalmente anche del suo rapporto con il rock (aveva un debole per gli Who: “Baba O’Riley, quel pezzo è genio puro”) e molto sparlò, sia della ristrettezza mentale delle accademie che della pochezza di certa critica, che di quanto poco peso si dia in Italia alla cultura. E così via, sparando ad alzo zero sul fenomeno montante Giovanni Allevi, raccontandomi di quella cantante là con cui aveva lavorato “che avrà anche delle tette da paura ma di riuscire a farla cantare intonata non c’è verso”. Se la devo dire tutta fu a tratti guascone, un po’ sborone se preferite, e però era fatto così, ti faceva scoppiare a ridere pure quando era serio e diceva cose serissime ridendo, e comunque a un Genio autentico glielo puoi perdonare se ogni tanto gli scappa di fare un po’ la ruota a mo’ di pavone, visto che se lo permette gente che viceversa non vale nulla. E niente, è quasi ora di inizio spettacolo, gli dico che va bene così e che scopro? Che il tastino “rec” del mio portatile digitale è incastrato. Comincio a sudare freddo, panico totale, riesco dopo due minuti di cauti armeggiamenti a disincastrarlo e – lo avrete capito – constato di non avere registrato nulla. Ezio mi ha dedicato un’ora e mezza del suo tempo e avrebbe ogni diritto di incazzarsi. Invece mi vede lì annichilito, non fa una piega, mi batte con una mano sulla spalla e “tranquillo, la rifacciamo quando vuoi, che problema c’è?”. C’era che sarebbe venuta fuori una roba straordinaria. C’era che sapevo di avere perso un qualcosa di irripetibile con quel flusso lì, quel ritmo e quella verve così, e difatti quando alcuni mesi dopo la rifacemmo, a casa di un suo famigliare, non venne bene per niente e tutto per colpa mia, che avevo un sacco di grane di cui non sto a dirvi e la testa altrove, e quando chiusi perché era arrivato a trovarlo un conoscente, un dj mi pare, ero conscio che sarebbe stato necessario un sacco di “taglia e cuci” per provare a insufflare un alito di vita in quella cosina smorta. Feci che rinunciare direttamente (Ezio mai me lo rimproverò; fece giusto una volta una battutina, ma sogghignava) e ancora oggi ho sul pc un file .wav di trentacinque minuti con lui che parla e una data: 11 gennaio 2009. Lui che parla con la voce di prima che si ammalasse e non so se avrò mai il coraggio di riascoltarlo.

Deve essere per via di quel secondo appuntamento da fissare che nella rubrica del mio cellulare sotto “Bordone Carlo” ci sta “Bosso Ezio”, ma non ricordo di averlo mai chiamato. Ci si vedeva per caso o insieme all’amico mio, all’amico nostro, che si occupava sempre lui di organizzare. E dopo quell’ultimo incrociarsi, diversi anni dopo, in Piazza Savoia di cui ho raccontato all’inizio non ho mai osato cercarlo. Lui non abitava più a Torino, su come stesse avevo chi mi informava e mi pareva brutto disturbarlo mentre magari stava studiando o suonando o riposando, o sottoponendosi a cure che purtroppo potevano solo ritardare l’inevitabile. Ho assistito da lontano a questo suo bruciare, in quattro anni che per lui devono essere stati insieme terribili ed esaltanti, in uno splendore abbacinante da falò che ha stregato l’Italia intera. Le ultime due volte (l’ultima appena cinque settimane fa, a “Propaganda Live”) l’ho visto in TV, come tutti, ma io con dentro una felicità da spaccarmi il cuore perché – contro ogni logica e notizia – mi sembrava che in qualche miracoloso modo stesse meglio. Per certo era migliorato il suo eloquio, tornato non quello di un tempo e tuttavia perfettamente intelligibile. E non soltanto quello, pure il gesticolare, appassionato come le parole. Così ieri mattina sono stato sorpreso con la guardia abbassata. Ho pianto molto. Ho avvertito un senso di vuoto come due sole altre volte in vita mia.

Oggi non più. Ho passato la giornata scrivendo queste righe, con la musica di Ezio che risuonava nel mio studio e lui accanto a me, una presenza tangibile. Sono sereno, grato per la buona sorte che ho avuto di conoscerlo. Non c’è più, ma c’è ancora. Ci sarà sempre.

13 commenti

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13 risposte a “Ciao, Ezio (ricordi sparsi di incontri con un Maestro vero)

  1. C’è solo il ‘mi piace’, qui, da poter mettere. Ma ci vorrebbero le lacrime tristallegre e un cuore che pulsa.

  2. Davide Ferraro

    Questo è il ricordo che avrei voluto leggere, grazie Eddy

  3. Michele Sica

    Grazie Eddy, non c’è d’aggiungere altro

  4. Oliviero Marchesi

    Grazie, Eddy. Un capolavoro. Il suo più bel ritratto. Sono certo che lui, dovunque sia, ne è orgoglioso.

  5. PaoloRep

    Ci sono persone che hanno un dono e questo dono le illumina in ogni cosa facciano. Per un attimo sei riuscito a far vedere anche a me, che non l’ho mai conosciuto, questa luce. Grazie Eddy. Come sempre.

  6. Un Maestro che parla di un Maestro: giù il cappello per entrambi. Grazie Eddy.

  7. Pingback: INSALATA MISTA | ilblogdibarbara

  8. Emanuela Virago

    Bellissimo articolo, grazie

    >

  9. Gian Luigi Bona

    Ci sono persone che illuminano la vita e ci aiutano ad attraversare i tanti momenti duri che incontriamo.
    Bellissimo ritratto, grazie Eddy.

  10. Andrea

    Madonna che bello. Uno dei ricordi più struggenti che abbia mai letto.
    Sei un uomo fortunato ad avere il dono di saper scrivere in questo modo.
    Ennio Morricone amava l’idea di pensare alle persone trasformate in Suoni, in Musica una volta raggiunto l’aldilà. Amo credere che per Ezio sarà così.
    Ciao, Andrea

  11. Monica

    Seguo Ezio da qualche anno. A differenza di molti non sono rimasta folgorata al Festival di Sanremo, ma solo dopo l’intervista di Domenico Iannacone che con raro garbo e gentilezza ha permesso ad Ezio di mettersi a nudo. Ecco da questo momento la mia vita non è più stata la stessa. Non mi sono persa una parola, un articolo, una news di Ezio. Purtroppo sono senza lavoro e speravo di trovarne uno per andare ad un suo concerto ma non ce l’ho fatta e questo è il mio più triste rammarico. Nei miei sogni speravo di incontrarlo un giorno per poter sedere un momento accanto a lui e chiacchierare, ascoltare le sue parole, stringere le sue mani che gli haters definivano scarne ed io trovavo magnifiche. Sono giorni che piango ed è come se avessi perso una parte della mia vita anche se lui non ne era parte attiva non sapeva nemmeno chi fossi. Ho letto molto in questi giorni su Ezio ed ho incontrato tra le righe tanta ipocrisia, tante inesattezze, occasioni di scoop e meno male, anche tanto Amore. Trovo che questo articolo sia un bellissimo ricordo – uno dei più veri e teneri che ho letto – ed essendo anche io di Torino, non faccio fatica ad immedesimarmi in quei luoghi ed immaginarlo al bar a bere “la birretta” come Beethoven.
    Grazie per aver condiviso questi episodi di vita vissuta e questo spaccato dell’esistenza di Ezio. Per ora non riesco nemmeno ad ascoltare la musica di cui si è reso tramite. Sono convinta che lui ora sia ancora di più con noi perchè come diceva – la musica è ovunque, noi siamo musica – e allora lo ritroverò nel suono del vento tra le foglie, nel vibrare della terra, nel volo delle poiane e nel frinre delle cicale. sono certa che da lassù dirige anche il brillare delle stelle !
    “Ci si vede quando ci si vede – It’s never over”
    Ciao Ezio.

  12. ascoltaepentiti

    Proprio una bella persona, il tuo ricordo è commovente.
    Purtroppo il passaggio sanremese me l’ha fatto trascurare, ma su Sky hanno recentemente caricato una sua esibizione divulgativa in cui si capisce il grande e sincero amore per la musica.

  13. Laura Vanzetti

    Grazie col cuore e con la mente, grazie per questi ricordi
    Quando una persona non c’è più e d avresti voluto conoscerla meglio, perché comprendevi che genio era, fa bene leggere momenti del suo vivere per capire come era la persona
    Perché Ezio oltre la musica, mi ha lasciato dentro un qualcosa di indescrivibile, mi suscitava emozione ed ancora oggi quando ne parlo, o lo vedo nominato, il mio cuore corre a cento all’ ora.

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