“Toh… esistono ancora”, è stata la mia reazione non esattamente entusiastica alla notizia dell’uscita del dodicesimo lavoro in studio dei Soul Asylum. Quarto da quando si rimettevano insieme ─ si fa per dire: della formazione classica erano rimasti solo il cantante Dave Pirner e il bassista Karl Mueller, che oltretutto moriva durante le registrazioni ─ e il pessimo risultato dei loro sforzi era “The Silver Lining”, inciso fra il 2004 e il 2006, pubblicato nel 2006, a otto anni dal precedente “Candy From A Stranger”. Un disco che mi toccava la sventura di dover recensire e aiutatemi tutti insieme a dire “brutto”. Latore di un rock dozzinale ai limiti dell’imbarazzante e stiamo parlando di una band che anche nei momenti migliori non è mai riuscita a rendere appieno in sala d’incisione la potenza, non disgiunta da una certa grazia, di spettacoli dal vivo viceversa rimarchevoli. E però, via, almeno “Hang Time” (1988) e “Grave Dancers Union” (1992; l’album, doppio platino negli USA, con dentro quel capolavoro di ballata di Runaway Train) non sono malaccio, tutt’altro, si possono (“si devono” sarebbe eccessivo) tranquillamente avere.
Avrete insomma inteso che, appreso che dovevo occuparmene, ho messo su “Hurry Up And Wait” quasi fosse una punizione per qualcuno dei miei tanti peccati. E invece… Invece fra le sue tredici canzoni, alcune delle quali con il pilota automatico ma nemmeno quelle disdicevoli, ne ho trovate diverse davvero sentite e frizzanti. Da una The Beginning dal riff affilatissimo al valzer Silly Things, passando per il glam con coro terra-aria Got It Pretty Good, una Here We Go sfacciatamente R.E.M./Byrds, una Landmines fra garage ed errebì. Spicca dalla cintola in su il folk che si fa folk-rock di Dead Letter. Mai avere pregiudizi.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.420, maggio/giugno 2020.
Anch’io l’altro giorno, scorgendo questo album fra le nuove uscite al Disco d’oro di Bologna mi sono fatto la stessa domanda.
Ad ogni modo, a me Grave dancer union piace tantissimo ancora adesso perché, a livello di suoni, è un disco che per le mie orecchie non è per niente invecchiato (a differenza di tanti altri dischi del periodo, magari anche superiori a livello di scrittura. Esempio blasfemo? It’s a shame about Ray, che ha dei suoni ultrametallici che non riesco più a reggere).
sia stramaledetto il servizio militare! nell’89 allo Studio 2 di Turin City calarono per un concertissimo che esponeva in cartellone Leaving Trains, Naked Prey e Soul Asylum.
Ovviamente, suonarono in quest’ordine e io per evitarmi giorni di punizione alle 23,30 fui costretto a lasciare il locale nel bel mezzo dell’esibizione dei secondi. Chi c’era ancora adesso gira il coltello nella piaga per sottolineare cosa mi sono perso dopo
Ecco, sì, dal vivo quella furia punkoide mutuata da altri loro illustri concittadini (non è il caso di nominarli, nè quelli di St. Paul, nè quelli di Minneapolis) rendeva esplosiva la loro miscela di hard (sia ‘core’ che ‘rock’), punk e pure country. Roba che nei dischi migliori (io voto sempre per ‘While You Were Out’, ma ‘Hang Time’, anche se un po’ omogeneizzato dalla produzione major, lo tallona certo da vicino) sfiora quell’impagabile fuoco e fiamme dei loro live-act