Per essere una vicenda che inizia (l’EP del 2018 “Distance Is A Mirror” sorta di episodio pilota) con questo esordio in lungo, la… ahem… pratica Public Practice ha una quantità di “prequel”, inusuale per musicisti ancora giovani, sui quali merita soffermarsi. Il quartetto newyorkese nasce dallo scioglimento di due band che hanno fatto in tempo a lasciare tracce importanti. Se la cantante Samantha York e il chitarrista Vince McClelland provengono dai WALL, con i quali hanno intessuto trame post-punk e no-wave nel pregiato debutto del 2017 “Untitled”, l’altra cantante e bassista Drew Citron e il batterista Scott Rosenthal arrivano dai Beverly, gruppo noise-pop con all’attivo due non meno riusciti album, “Careers” e “The Blue Swell”, del 2014 e 2016 (e ancora prima Citron è stata con gli Avan Lava, titolari di un 7”). Come succede quando si mischiano colori primari il risultato è però un qualcosa di differente e nuovo. Sebbene con antecedenti lontani tanto evidenti quanto dichiarati: un’altra Big Apple, quella in cui nei tardi ’70/primi ’80 la collisione fra pop, punk e funk, new wave e il nascente hip hop generava storie di successo chiamate Blondie e Talking Heads e altre destinate a restare di culto ma la cui influenza perdura come ESG e Liquid Liquid.
Chiaro che se suoni come qualcosa che già c’era quarant’anni fa (altri numi tutelari: Suicide, B-52’s, Slits) le discriminanti per decidere se la tua esistenza abbia o meno un senso sono due: qualità della scrittura e abilità nel mischiare le carte. Sull’uno e l’altro fronte i/le Public Practice se la giocano alla stragrande. Sì da risultare eccitantissimi/e, in dodici brani ritmicamente e melodicamente irresistibili. Speriamo non si sciupino in fretta, tipo Interpol. Speriamo durino, tipo LCD Soundsystem.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n. 420, maggio/giugno 2020.
Senti, Eddy. Quest’anno causa COVID mi sono perso i numeri di marzo e di aprile di AUDIO REVIEW. Non è che potresti recuperare qualcosa di particolarmente interessante da quelli lì. Lo so che hai già pubblicato suquesto blog le recensioni di quella meraviglia che è “Let It All In” degli Arbouretum e dell’ecellente “Self Civil War” di Julian Cope, ma se magari mi sono perso qualcosa d’altro e volessi condividerlo…
😉 🙂
La regola che mi sono dato e alla quale non derogo, per correttezza nei confronti di una rivista alla quale pure faccio molta pubblicità, è di non ripubblicare mai qui più di quattro recensioni sul consueto totale di sedici/diciassette. Sappi comunque che – finalmente! – è ora possibile recuperare gli arretrati di AR, in forma di pdf.
Ciao Eddy, sono molto interessato ad acquistare in pdf gli arretrati di audio review in particolare per gli articoli tuoi e di Guglielmi. Sul sito della rivista non trovò il modo…puoi aiutarmi. Grazie e complimenti per tutto quello che pubblichi. Veramente di grande qualità!
Chiedo scusa per avere dato un’informazione errata. Al momento su https://audiovideoteam.it/ c’è solo la possibilità di acquistare gli arretrati, in formato pdf, fino al numero 410 (e sin dal numero 1!) a blocchi di 10, 50 oppure 100. Spero che in futuro vengano coperti gli arretrati anche più recenti e pure come numeri singoli. Ben sapendo che un tot di persone durante il lockdown un fascicolo o due se l’è perso.
Grazie, non lo sapevo, lo farò. Ed ammetto che la regola che ti sei dato è sacrosanta.
Chiunque tenga come Lari i Suicide, B’ 52s e Slits, nel 2020, è una delle prove della esistenza di Dio…