Gli anni rumorosi di Graham Parker

Oggi come oggi è l’unico cantante per il quale pagherei volentieri un biglietto.” (Bruce Springsteen, 1978)

Racconta Graham Parker di avere incrociato un’unica volta in vita sua Joe Strummer. Era il giugno del 1976 quando, al termine di uno spettacolo al Marquee di Londra, gli si parò davanti nei camerini un giovanotto che l’allora manager Dave Robinson gli presentò come “Joe, il cantante degli 101ers”. Invece di commentare il concerto appena visto, o di parlargli di sé, il futuro (a brevissimo, questione di giorni) frontman dei Clash domandava se gli fosse già capitato di vedere i Sex Pistols. Alla risposta negativa il suo commento era “sono tutta un’altra faccenda loro, la roba più nuova che ci sia in giro”. “Ehi! Aspetta un momento!”, dice di avere pensato e solo pensato il nostro uomo. “Sono io la roba più nuova che ci sia in giro.” Avendo appena dato alle stampe il primo album, un debutto salutato da una critica pressoché unanime come una boccata di aria fresca, l’eroe di questa storia si scopriva prematuramente obsoleto. Avrà agio, negli oltre tre decenni e mezzo trascorsi, di rendersi conto di come fosse sì un danno dal punto di vista mercantile ma in assoluto non un male: le mode passano, la Canzone resta. La sua prima dozzina di canzoni memorabili era a quel punto già in catalogo. Se ne aggiungeranno innumerevoli altre: belle e qualcuna bellissima, agre ma con un cuore romantico, sovente eccitanti, talvolta commoventi. L’ultima dozzina si è disvelata poche settimane fa e ha fatto in fretta a diventare un’ossessione – piacevole – e un rimpianto: per tutti i dischi, anche i più riusciti, licenziati dopo il 1980 nei quali i Rumour con ci sono, o al massimo ve n’è uno o due. Incensato nello scorso numero di questo giornale, “Three Chords Good” ribadisce un paio di verità inoppugnabili delle quali ci si andava scordando: che i Rumour stanno a Graham Parker come gli Heartbreakers a Tom Petty, o la E Street Band a Springsteen; e che continua a essere questo il podio dei più grandi gruppi di classic rock da metà anni ’70 in qua. Gioiose, invincibili macchine da guerra.

Ci sono amori che cominciano con un colpo di fulmine, altri che sbocciano dopo lunghe frequentazioni. Gli appuntamenti al buio sono il rifugio dei disperati e più facile che fruttino, al meglio, uno strofinamento piuttosto che una storia importante. Questa vicenda comincia con un appuntamento al buio. A parte che Dave Robinson – che non ha ancora fondato la Stiff e per intanto gestisce un locale, l’Hope & Anchor, cruciale ritrovo per quanti nella capitale britannica remano contro la deriva prog – gliene ha detto un gran bene, i Rumour non hanno idea di chi sia quel venticinquenne basso, smilzo e nervoso che si trovano di fronte in sala prove. Sono appieno giustificati. È un Signor Nessuno la cui fama, e si fa sul serio per dire, non ha mai valicato i confini del villaggio del Surrey nel quale ha vissuto sin da bambino. Avrà un bel favoleggiare nella prima intervista di peso, pubblicata dal mensile “Zigzag” nel gennaio ’77, di complessini capeggiati sin dalla verde età di tredici anni, prima tali Deep Cut Three (dal nome del borgo) devoti ai Beatles e poi talaltri Black Rockers in una vena di rhythm’n’blues urbano à la Stones. Per carità: può pure darsi che sia tutto vero e nondimeno più ci si inoltra in una narrazione picaresca – con tanto di soggiorni fra ’60 e ’70 a Guernsey e Gibilterra e peregrinazioni marocchine a capo di tali Narziss, descritti come un gruppo space rock con influenze sia di folk acido alla Incredible String Band che black – e più vengono in mente (anche perché in altre versioni del medesimo racconto il gruppo si chiama Pegasus) le mirabolanti panzane di un altro maestro sicuro, il Giovane Dylan. Quel che è certo è che, dopo avere flirtato con la cultura Mod e consumato ingenti quantitativi di sostanze psichedeliche (ne farà sempre propaganda, sconcertando qualcuno fra gli esegeti del suo rock operaio), il ragazzo si è guadagnato il pane e un tetto con una successione di lavori precari e lo farà sempre ridere la definizione che gli appiccicheranno di ex-benzinaio (“Un caso. Avrei potuto benissimo essere ‘l’ex-panettiere di Deepcut’.”). Quel che è certo è che c’è un sacco di America nelle sue corde e nei suoi accordi e che – in ritardo sull’ondata cantautorale alla James Taylor come sul glam, in anticipo sul punk – nessuno in Gran Bretagna in quel momento scrive musica così. Bravo Robinson a coglierlo nei demo un po’ raffazzonati che gli sono giunti fra le mani. E quello che infine è indiscutibile è che, benché la cittadina dalla quale proviene non disti che qualche decina di chilometri da Londra, il Nostro sarebbe perfetto per la parte del tipico villico ignorante. Lui dovrebbe difatti sapere sì chi ha dinnanzi. Il tastierista Bob Andrews e il chitarrista Brinsley Schwarz provengono dal complesso che prendeva il nome da quest’ultimo, stupenda combriccola americanofila con all’attivo sei LP uno più sapido dell’altro, dapprincipio sorta di propaggine nel Regno Unito di Crosby, Stills & Nash come dei Grateful Dead riconvertitisi al country e a fondo corsa apripista power pop per i Dr. Feelgood come per Eddie & The Hot Rods. L’altro chitarrista, Martin Belmont, arriva dagli stilisticamente affini e non meno strepitosi Ducks Deluxe e quanto alla sezione ritmica – al basso Andrew Bodnar, alla batteria Stephen Goulding – è stata quella dei Bontemps Roulez. Insomma: una sorta di supergruppo pub rock e questo peserà naturalmente nella sistemazione nella suddetta casella di colui che per un lustro sarà il capobanda. Parker ne sarà sempre e da subito, e con più di qualche ottima ragione, infastidito, ma tant’è: prezzo modesto da pagare per l’intesa alchemica che immediatamente si crea.

Prosegue per altre 20.145 battute su Venerato Maestro Oppure ─ Percorsi nel rock 1994-2015. Pubblicato per la prima volta su “Blow Up”, n.177, febbraio 2013. Graham Parker compie oggi settant’anni.

1 Commento

Archiviato in anniversari, Hip & Pop

Una risposta a “Gli anni rumorosi di Graham Parker

  1. marktherock

    ahimè…la macchina del tempo non ce l’ho e dunque mi posso solo fidare ciecamente del Boss di quei tempi (che peraltro non erano proprio proprio malissimo nemmeno per lui, quando spargeva sangue, sudore e lacrime sui palchi per quelle cinque ore)
    Ma il GP ‘en solitaire’ – solo chitarra e voce – visto per due volte in questo millennio (la prima poteva essere il 2000, l’altra certamente nel 2013) fu in entrambi i casi emozionante come poche cose nella vita. E fu bello vedere che non solo la solita sparuta tribù di apache brizzolati, ma pure un tot – non troppi, certo, ma un po’ – di giovini presenzianti provarono le stesse sensazioni
    Onori a questo gigante

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