“Mia mamma diceva che attiri più api con il miele che con l’aceto. Per catturare l’attenzione di qualcuno devi offrire in primo luogo un messaggio di pace e speranza. Solo così potrai avere l’opportunità di cominciare a cambiarlo”: così Shemekia Copeland sul brano che intitola il suo decimo album e lo ha anticipato di diversi mesi. Canzone magnifica attorniata da altre undici non meno memorabili ma che, in un programma comunque assai variegato, fa storia a sé: ballata sul filo del bluegrass con le voci della Orphan Brigade controcanto a quella accorata di questa stupenda matrona del blues e due virtuosi di mandolino e dobro quali Sam Bush e Jerry Douglas a tesserci sotto un tappeto strumentale da perderci la testa per gli innamorati di certa vecchia America. Ivi compresi tanti che alla tornata elettorale che ha portato alla Casa Bianca come vicepresidente una donna di origini indiana per parte di madre e giamaicana di padre hanno votato altrimenti. Si comincia anche così a provare a risanare le ferite inferte negli ultimi anni alla più antica delle democrazie. Auspicabilmente. Uno vorrebbe crederci. Vorrebbe.
Parlando di musica: l’ennesima grande prova di questa figlia d’arte (il chitarrista Johnny Copeland) che come nel precedente “America’s Child” omaggia papà con una cover, a questo giro una Love Song gioiosamente ammiccante. Che se lì trasformava I’m Not Like Everybody Else dei Kinks in una novella Respect qui fa spettrale Under My Thumb degli Stones nel contempo rovesciandone l’approccio misogino. Altre vette di un disco di soli apici: una Walk Until I Ride da Ry Cooder alle prese con gli Staple Singers; l’omaggio a Dr.John Dirty Saint; una She Don’t Wear Pink in cui risuona l’inconfondibile twang della chitarra di Duane Eddy.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.426, dicembre 2020.