5 pezzi facili per Scott Walker, americano a Londra

“Ne morirà di gente nel frattempo!”: così, con impagabile umorismo nero, Noel Scott Engel, in arte Scott Walker, rispondeva all’intervistatore di “Mojo” che nel 2000 gli domandava quando avrebbe concesso all’umanità la grazia di un nuovo album. Non che se ne stia con le mani in mano, spiegava, ma scrivere è divenuto per lui con il tempo un processo sì tormentoso nel suo tendere alla perfezione che possono volerci “un paio di mesi perché io metta assieme la metà della metà di una canzone”. Si potrebbe dire che ha tenuto fede alla promessa, visto che siamo arrivati a inizio 2004 e ancora aspettiamo il successore del fosco e sublime “Tilt”, una faccenda del 1995 doverosamente inserita nei “500 dischi fondamentali” designati dalla nostra succursale “Extra” a rappresentare la storia del rock, termine da intendere nell’accezione più ampia e vaga possibile se si fa riferimento a capolavori come il suddetto. D’altro canto, fra “Tilt” e il predecessore “Climate Of Hunter” il nostro uomo di anni ne aveva messi undici e per ora siamo appena a nove. Pazientiamo. Ci aiuterà alla bisogna un cofanetto di cinque CD uscito in prossimità delle feste natalizie, con griffe Mercury/Universal, e beffardamente chiamato “5 Easy Pieces”. Naturalmente, anche nei suoi momenti più populisti, un prolungato esercizio dell’uneasy listening più uneasy che si possa immaginare. Naturalmente, ché sarebbe stato se no troppo banale, organizzato non cronologicamente ma tematicamente. Naturalmente comprendente materiale dei Walker Brothers, il complesso con il quale l’oggi sessantenne Scott soggiornò a lungo in cima al mondo in altri anni ’60, ma altrettanto naturalmente orbo della canzone per la quale tutti li ricordano, vale a dire The Sun Ain’t Gonna Shine Anymore (con il senno di poi, quel che si dice un titolo programmatico). Infine (a tirare l’ultima riga sulla lista delle iconoclastie prevedibili): fornito di un libretto, di eleganza e austerità somme, che ben si guarda dall’offrire all’acquirente informazioni biografiche su un soggetto che da un quarto di secolo sfugge le luci della ribalta, dopo essere stato personaggio di visibilità immane: l’annuncio dello scioglimento dei Walker Brothers provocava nel 1967 reazioni, in particolare fra il predominante pubblico adolescenziale femminile, di un’infima frazione meno estreme di quelle che causerà tre anni più tardi la fine dei Beatles. A parte l’elenco dei brani (novantatré) e una-foto-una del soggetto, il tascabile e smilzo volume non si compone che di citazioni citabili di celebri colleghi che esprimono ammirazione prossima all’idolatria per il Nostro. Ne pilucco qualcuna qui e là e vediamo se vi impressiono.

Per noi Captain Beefheart e Scott Walker sono l’epitome di ciò che davvero vuol dire punk, artisti che seguono la loro strada senza curarsi di nulla e di nessuno.” (Nick Power, The Coral)

Lo sai che ‘Tilt’ è stato registrato nello stesso studio e nello stesso periodo di ‘The Bends’? Ma non ci siamo mai incrociati. Non è stato che al Meltdown Festival che abbiamo avuto finalmente l’occasione di conoscerlo… Fondamentalmente, è stato per lui che abbiamo suonato. Ero lì sul palco e non facevo che pensare: ‘C’è Scott Walker fra il pubblico e non mi frega niente di chiunque altro possa esserci’.” (Thom Yorke, Radiohead)

Ha avuto un’enorme influenza su di noi…” (Damon Albarn, Blur)

Prosegue per altre 7.327 battute su Venerato Maestro Oppure ─ Percorsi nel rock 1994-2015. Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.562, 20 gennaio 2004. Scott Walker ci lasciava due anni fa a oggi, settantaseienne.

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