Laura Nyro – Lady Sings The (Lonely) Blues

Fosse vissuta, Laura Nyro avrebbe festeggiato questo 18 ottobre i primi settant’anni. Se ne andava prima di arrivare a cinquanta ma vive ancora. E noi con lei, anche senza saperlo, nel mondo che ha creato.

Di ascendenze russe, polacche, italiane, parte ebrea, parte cattolica, Laura Nyro vedeva idealmente celebrate le sue esequie il 27 ottobre 1997, a sei mesi e mezzo dalla prematura dipartita. Naturalmente in quella New York che non aveva frequentato che occasionalmente dal ’72 in poi ma in cui era nata e che le era sempre rimasta dentro. Perché “sembri una città, ma per me sei come una religione”. Naturalmente con una liturgia laica: un concerto. Appropriatamente, in quel Beacon Theater tanto maestoso quanto fatiscente che l’aveva vista sette anni prima protagonista della cerimonia con la quale era stata introdotta nella New York Music Hall Of Fame. Lì in tempi molto più prossimi aveva assistito a uno spettacolo di Chaka Khan ed era stata l’ultima sua uscita mondana, poche ore di spensieratezza sottratte alla malattia che la stava divorando. Per ricordarla si avvicendavano sul palco collaboratori e collaboratrici di una vita e qualche cantante in rappresentanza delle tante incamminatesi sulle strade che lei per prima aveva percorso. L’amica Alice Coltrane eseguiva insieme al figlio Ravi un brano del marito John, After The Rain, ed era uno dei momenti più toccanti. Ma emozionava ancora di più Rickie Lee Jones, rileggendo due delle canzoni scavate più in profondità da Laura nella miniera della sua anima. Prima You Don’t Love Me When I Cry, quindi quella Been On A Train scritta in irosa, sconfortata memoria di un cugino morto ventunenne di eroina. “No, no, damn you mister!”, scagliava al cielo Rickie Lee fra guaito e ruggito e in quell’attimo ─ testimonia chi c’era ─ fu come se un’altra figura si materializzasse lì, piegata dal dolore sui tasti di un pianoforte.

Conclamata allieva, dell’oggetto di questo panegirico la Jones dice: “la più grande autrice americana di sempre”. Giudizio sul quale sostanzialmente concorda quell’unica altra che potrebbe contenderle lo scettro. Persona notoriamente con un’altissima (giustificata, eh?) opinione di sé, poco propensa a riconoscersi educata da nulla di meno alto di Mozart o di Picasso, in un’intervista del 1998 al mensile britannico “Mojo” Joni Mitchell dichiarava che “Laura Nyro è l’unica artista donna con cui avverto una qualche affinità. Non è sbagliato collocarci una accanto all’altra, era una che seguivo e cui qualche volta sono andata dietro”. Se ogni singola leva di cantautrici “al femminile” susseguitasi dai tardi ’60 ─ forse più di tutte quella che prendeva il potere con Suzanne Vega e Tracy Chapman ─ si è in qualche misura formata alla sua scuola (questione di attitudine e di argomenti più che di spartiti, che restano di inimitabile peculiarità), sono andate a lezione da lei pure figure in apparenza distantissime come Kate Bush o Courtney Love. Facile coglierne l’eredità, magari malriposta, in una Tori Amos che ne è spesso parsa la versione cheap, meno ─ considerando quanto poco ebbe a che fare con il rock ─ nella generazione delle riot grrrls. Nelle Sleater-Kinney come nelle Luscious Jackson. Ma, giusto pochi mesi prima che Laura ci lasciasse, Jill Cunniff, cantante e bassista di queste ultime, ricordava come fosse stata una presenza formativa fondamentale: “La gente parla di lei e di Joni Michell con superficialità, ‘ah, sì, quelle cantautrici confessionali’, intendendo sminuirle con quell’etichetta, ma per quanto mi riguarda ringrazio Dio che ci fosse qualcuna che aveva qualcosa da confessare, perché è di quelle esperienze condivise che mi sono nutrita”.

Se Michael Stipe ha raccontato che la sua vita fu cambiata per sempre dall’incontro con la Patti Smith di “Horses”, Peter Buck rivela che da adolescente era ossessionato da Laura Nyro: “Quei primi quattro album sono un qualcosa di incredibile. Nessuno ha mai prodotto musica così. Non credo che sia mai stata guardata con il rispetto che avrebbe meritato”. Opinione che Elton John sottoscrive: “La idolatravo. L’anima, la passione, l’audacia con cui passa da un ritmo a un altro o con cui modifica una melodia mi sembrarono inaudite”. Lo affermava nel corso di una chiacchierata in uno studio televisivo con Elvis Costello, che annuiva entusiasta. Essendo pure per lui la Nyro una delle autrici e interpreti più ingiustamente neglette negli annali di un pop troppo colto per essere popolare davvero. Mentre dal canto suo Todd Rundgren ha sempre detto che ascoltarla per la prima volta ebbe su di lui un tale effetto da segnare il destino dei Nazz, “perché da un giorno all’altro smisi di comporre canzoni illudendomi di essere gli Who e cominciai a scriverne fantasticando di essere Laura Nyro”.

Prosegue per altre 56.498 battute su Extraordinaire 1 – Di musiche e vite fuori dal comune. Pubblicato per la prima volta su “Blow Up”, n.221, ottobre 2017. A oggi sono trascorsi ventiquattro anni dalla scomparsa di Laura Nyro.

3 commenti

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3 risposte a “Laura Nyro – Lady Sings The (Lonely) Blues

  1. PaolRep

    Sono un vecchio malato di mente e non a caso frequento questo blog. Sono ancora oggi convinto che acquistare un disco, un “supporto fisico” come direbbero gli umanoidi moderni, sia inserire un tassello in un percorso che dura tutta la vita. Sia un po’ come accogliere un artista a casa propria, concedergli uno spazio nel proprio cuore come si fa con un amico. E siccome sono anche un po’ stronzo è un po’ snob a casa mia non entrano proprio tutti Laura Nyro è entrata un po’ tardi, quando avevo già superato la trentina. Era appena uscito “Stoned Soul Picnic”antologia della carriera. Quale migliore occasione? Col senno di poi fu un bene scoprirla così tardi. Mi fu possibile cogliere accenni di migliaia di cose ascoltate prima. Tanto Brill building di quello migliore ma che osava parecchio di più. Joni Mitchell, Carole King, forse anche Bacharach e Spector. Tanto jazz e soul. Tutto mescolato e condito da buon gusto musicale ma sopratutto farcito da sentimenti sinceri. Proprio nei giorni in cui Laura entrava a casa mia attraverso quel disco, uscito nel 97, in realtà mi lasciava. Da allora la faccio ascoltare alle persone che amo anche se loro a volte non capiscono il perché. Forse perché sono un po’ stronzo e un po’ snob. O forse perché a casa mia non entrano proprio tutti. O forse perché a volte ho semplicemente voglia di sentire un angelo cantare.

    • Sono un vecchio malato di mente e non a caso da trentotto anni scrivo di musica e da quasi dieci pubblico e ripubblico articoli, schede enciclopediche, recensioni, guide agli acquisti, video e quant’altro su questo blog.

  2. marktherock

    beh…che dire? che bello essere così, malati di mente, un po’ snob e un po’ stronzi ma in grado di fare pertanto accurata ‘selezione alla porta’.
    L’amore può bruciare come un colpo di fulmine o come un irresistibile crescendo rossiniano. E forse è quest’ultimo quello più duraturo.

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