
Improbabilissima (e nondimeno perfetta nel ruolo) Soul Woman, Dusty Springfield ci lasciava assai prematuramente, appena cinquantanovenne. Non fosse andata così ─ male ─ oggi di anni avrebbe potuto festeggiarne ottantadue.

Live At The BBC (Universal, 2007)
In questo DVD assai generoso nel minutaggio (quasi tre ore senza contare un “Jukebox” di una dozzina di titoli in solo audio) alcune cose sono invecchiate male. Direi una regia che dire statica è un eufemismo (e che fastidio che i musicisti non si vedano mai; “oh” e “ah” di meraviglia quando, intorno al novantesimo minuto, viene infine inquadrato il pianista). Direi la terribile acconciatura ad alveare di una protagonista che comunque ebbe sempre un rapporto con i parrucchieri problematico. Direi anche una non piccola percentuale di un repertorio proveniente perlopiù da nove spettacoli, la Springfield mattatrice unica, che la televisione pubblica britannica trasmise con cadenza settimanale nelle estati del ’66 e del ’67. Male gli arrangiamenti debordanti che sciupano soprattutto certe parentesi folk. Male la messe di cose da Broadway o da Hollywood che persino al tempo dovevano sembrare vetuste e figurarsi oggi.
E allora perché segnalare “Live At The BBC” e persino consigliarlo? Per quella manciata di pezzi favolosi in cui il pop d’antan è gettato alle ortiche ─ e con esso, con maggiore dispiacere, certo jazz swingante e confidenziale alla Sinatra ─ e a prendere possesso della ribalta sono quei bollori soul che nel 1969 renderanno “Dusty In Memphis” non solo il più grande album soul mai firmato da una cantante bianca ma uno dei più grandi e basta. Chiudi gli occhi e non riesci a crederci che sia una biondina londinese a cantare una Tell All The World About You da cui l’autore Ray Charles dovette sentirsi lusingato, una Good Times degna di Sam Cooke, una Gonna Build A Mountain di tale santificata furia da fare venire giù la più negra delle chiese.
Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.641, dicembre 2007.

Dusty In Memphis (Philips, 1969)
Ci penserà un’altra biondina inglese, e per sovrappiù giovanissima, tale Joss Stone, a sottrarre a Dusty Springfield il titolo di più improbabile, e nondimeno perfetta nel ruolo, soul woman di sempre. Trentacinque anni dovranno però passare dai gloriosi giorni in cui Dusty registrò, ovviamente “in Memphis” e con a spalleggiarla gli stessi musicisti che suonavano con Aretha Franklin, forse perplessi all’inizio ma alla fine entusiasti, otto canzoni squisite e tre indiscutibili capolavori: il gospel profano e funkissimo Son Of A Preacher Man, una Breakfast In Bed che annuncia Al Green, una In The Land Of Make Believe in anticipo su Gamble & Huff ma farina del magico sacco di Burt Bacharach. Era o non era del resto, la ragazza, la Dionne Warwick d’Albione?
Tratto da Rock: 1000 dischi fondamentali più cento dischi di culto, Giunti, 2019.