
Ci sono elogi che possono risultare paralizzanti. Che fai dopo che un Nobel per la letteratura si spende per un tuo disco? E se costui è Bob Dylan? Be’, se sei Valerie June alzi l’asticella. Provi ad andare oltre quel “The Order Of Time” che nel 2017 veniva lodato da uno così poco propenso agli entusiasmi (e chissà se ha poi recuperato i primi lavori della June, collezioni autoprodotte di acusticherie arcaiche che ancora di più dovrebbero toccare certe sue corde). Provi a realizzare il tuo album “della vita”. “Con questo disco mi è finalmente diventato chiaro il motivo per cui ho questo sogno di fare musica. Non per l’ambizione di venire premiata o conquistare l’amore di qualcuno, bensì perché mi mantiene curiosa e su quel percorso di apprendimento di ciò che ho da condividere con il mondo. Quando ci permettiamo di sognare come facevamo da bambini, ciò accende la luce che tutti abbiamo dentro e rende magico il modo in cui viviamo.”
Ce n’è in quantità di magia in un album per il quale qualcuno ha scomodato (ci sono elogi… etc…) un termine di paragone ingombrantissimo quale “Astral Weeks” e, per lo spirito che lo anima se non per gli spartiti, ci sta. Nelle sue quattordici tracce (ma due sono istantanee bucoliche di suoni trovati e una un breve recitativo) l’artista del Tennessee si porge nel contempo classica, mirabile sinossi di Americana, e peculiare, dispensando perlopiù ballate sublimi nell’ampio arco fra folk, country-blues e chamber pop ma concedendosi pure empiti gospel. L’apice è Call Me A Fool, soul favoloso che pare giungerci dritto dai tardi ’60 e dagli studi Stax o Atlantic. Non potendo più chiamare Aretha Franklin a duettare con lei, Valerie ha convocato Carla Thomas.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n. 430, aprile 2021.
Al tempo con un singolo come questo mi sarei fatto una cassetta da 90 min con il lato a di questa canzone a ripetizione.
L’ultima volta è stato con Lover you should’ve come over.
Salute Venerato.