
Dodici anni senza un disco di Kate Bush: è uno iato insolito anche in un pop-rock da tempo abituato per i grandi nomi a intervalli crescenti, periodi durante i quali una volta si sarebbero consumate intere carriere, fra un album e l’altro. Però questa ormai matura signora vanta un seguito fedele e non deve mai avere dubitato che sarebbe stata aspettata: potendo oltretutto contare su un rapporto unico con l’etichetta presso cui è da sempre accasata e basti pensare che chez EMI, avendola ingaggiata sedicenne in forza dello stesso demo che già aveva conquistato David Gilmour, la mantenevano a scuola tre anni prima di aprirle le porte di uno studio. Sarebbero stati ripagati dalle vendite milionarie di un catalogo immacolato. Chi mai sarebbe oggi così lungimirante? Chi mai avrebbe tanta pazienza? E nondimeno chissà cosa devono aver pensato quando, dopo avere sospirato così a lungo qualcosa di nuovo, si sono ritrovati fra le mani un’opera tanto articolata, con non più di un paio di brani trainanti e che richiede parecchi ascolti per essere colta nella sua interezza. Cioè esattamente il contrario di quanto è considerato vendibile alla generazione dell’iPod, la cui attenzione è notoriamente volatile. Devono essere partiti elaborati scongiuri. Qualcuno deve avere ricordato, speranzoso, che fu ben più sovrumana impresa fare innamorare di Wuthering Heights la generazione del punk.
Si mormora che “A Sea Of Honey”, il primo dei due dischi di cui si compone “Aerial”, sia stato aggiunto a “A Sky Of Honey” all’ultimo momento, un ripensamento della stessa autrice dinnanzi a un lavoro in cui l’abituale eccentricità rispetto alle convenzioni e all’attualità del pop avrebbe se no toccato nuovi apici. Un po’ scappa da ridere. Vero che l’iniziale King Of The Mountain, con il suo alato pulsare di post-ambient con la battuta e sentori che rimandano a quell’altro alieno di Peter Gabriel, ha buona incisività, ma il resto? Di un altro mondo rispetto a quanto si ascolta alla radio – per dire – il moderno madrigale di Bertie (una dedica al figlio che in mano a chiunque sarebbe stata insopportabilmente sentimentale e invece è una delizia) o le pianistiche, scarne e ombrose, Mrs. Bartolozzi e A Coral Room. Ove in Pi la signora prende sul serio chi dice che con la voce che ha potrebbe cantare l’elenco telefonico e si inventa un pazzesco ritornello tutto di numeri. Pronti al secondo disco? Un concept, si sarebbe detto una volta. Di fatto un’atmosferica suite in nove movimenti che racconta un giorno da un’alba a un’altra, fra archi neoclassici, bassi jazz e cinguettare di uccelli, prendendo pian piano corpo da un impalpabile inizio al ritmo quasi disco di Nocturn e alle elettriche stentoree di Aerial. Checché se ne pensi, Kate Bush merita rispetto.
Pubblicato per la prima volta su “Extra”, n.21, primavera 2006. Kate Bush compie oggi sessantatré anni. Aspettiamo un suo album nuovo da dieci.
Sul Mucchio non veniva mai presa troppo in considerazione (per non dire ignorata), una volta chiesi a Stefano Ronzani il perchè e mi risponde “Ad essere duri e puri si perde qualcosa per strada”