
Classe 1941, Michael Chapman pubblica tuttora dischi con cadenze da giovincello, fa concerti e alla fine di ogni tour torna nel remoto villaggio del Northumbria dove vive dacché i proventi dell’album dopo questo, “Fully Qualified Survivor”, gli permisero di acquistarci una cascina. A lungo patrimonio di pochi, gli anni ’10 del nuovo secolo lo hanno visto intervistato a destra e a manca e fatto oggetto di un documentario, lui che già aveva avuto la soddisfazione di scoprire che artisti di altre generazioni (più giovani, tipo Thurston Moore, o parecchio più giovani, come Devendra Banhart) lo considerano un maestro. Può volgersi all’indietro, questo superbo chitarrista usualmente catalogato alla voce “folk progressivo” ma che ha suonato di tutto, fino all’improv più radicale, e guardare con orgoglio al percorso fatto. Prima tappa (datato 1969, griffato Harvest) questo stupendo “Rainmaker”. Assemblato con il cruciale contributo di altri musicisti stellari (per dire: al basso si alternavano Rick Kemp e Danny Thompson, in un paio di brani dietro la batteria sedeva Aynsley Dunbar) il disco parla la lingua di un folk elettrico ed elettrizzante, pregno di blues, disposto a concedersi al country. L’avessero fatta i Led Zeppelin, la traccia che gli dà il titolo la conoscerebbe chiunque.
Tratto da Rock: 1000 dischi fondamentali più cento dischi di culto, Giunti, 2019.
che dischi, questo e ‘Fully Qualified Survivor’…i più belli che non hanno scritto sulla copertina ‘Roy Harper’