
Davvero: non si sa se essere più furiosi con David Crosby per i decenni in cui si buttò via abusando di alcool, eroina, cocaina e quant’altro (ineffabilmente, oggi che in California è legale commercializza con il suo nome una marijuana che gli intenditori considerano fra le migliori sulla piazza) o essere più felici, per lui e per noi, che incredibilmente sia riuscito a sopravvivere a quegli anni folli e ai successivi e gravissimi problemi di salute che l’hanno afflitto come strascico degli stravizi. Che, ancora più incredibilmente, stia vivendo da un decennio in qua (ma prodromi di rinascita si erano manifestati già all’incrocio fra il secolo vecchio e l’attuale con il progetto CPR) una luminosissima… quarta giovinezza.
Per il suo ottantesimo compleanno il vecchio Croz si è regalato, con qualche settimana di anticipo, un album che è sorta di gemello (solo, più conciso: se i brani in scaletta in entrambi sono dieci quello superava i cinquanta minuti, questo non arriva a trentotto) del precedente (2017) “Sky Trails”. Per dire: anche qui il programma comprende una cover dell’amica di sempre Joni Mitchell (tocca stavolta a una pianistica For Free, che ha pure l’onore di intitolare il disco). Anche qui ci sono brani di impronta Steely Dan e curiosamente lo è di più Ships In The Night che non Rodriguez For A Night, cui Donald Fagen ha offerto il proprio apporto compositivo. E il resto sono meraviglie da un Laurel Canyon dell’anima: su tutte una I Think che potrebbe giungerci dai primi due LP in trio con Crosby e Nash e una Shot At Me che sarebbe potuta stare su “If I Could Only Remember My Name”. Addirittura. L’unico cruccio è che il tempo inevitabilmente, inesorabilmente scorre.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.434, settembre 2021.
Una voce meravigliosa, ancora. E, per quanto anziano, ancora combattivo, viste le recenti dichiarazioni velenose e lapidarie nei confronti di Nash e Young.
Io ci sento anche il suono da rock da FM di metà anni 70, quello che poi, in anni più recenti, sarebbe stato ribattezzato “yacht rock”. Un pezzo come “River Rise” è eloquente in tal senso, forse perché c’è Michael McDonald come ospite. Resta comunque un gran bel disco, nonché, ipoteticamente, il modo migliore per Crosby per chiudere la carriera discografica.
Se scrivi così mi fiondo a comprarlo.
In quest’epoca ci sono svariati modi di “verificare” la qualità di un disco prima di comprarlo. Io ci sento quei riferimenti sonori; altri – tra i quali, ipotizzo, Eddy, che non li ha menzionati nella sua recensione – probabilmente no. A questo punto non ti resta che verificare di persona. Tenendo presente che l’unico punto fermo che tutti condividiamo è che si tratta di un bel disco 🙂
ma…soltanto a me, al primo attacco di questa ‘Rodriguez For a Night’ è parso materializzarsi il fantasma di Lowell George?
Comunque sì, gran disco, ancor più inaspettato per l’appunto perchè – ahinoi – tempus fugit…