
Ci sono due istanti assolutamente rivelatori (oltre che magici; ma sono così tanti gli attimi di magia che dona questa artista che se ne perde presto il conto e resta la sensazione di un incantesimo unico ed eterno) in “Live At Blues Alley”. Prima dell’ultima canzone presentata quella sera, Eva Cassidy ringrazia mamma e papà. Dopo, il pubblico, per essere venuto ed essere stato meraviglioso, e c’è quasi da non crederci ad ascoltarla, lei che ha appena regalato ai fortunati astanti la serata più indimenticabile delle loro vite. Loro meravigliosi? Ti coglie una tenerezza da starci male. E fra l’uno e l’altro tributo una What A Wonderful World cui viene infine resa l’innocenza strappatale da Barry Levinson quando decise che doveva essere la voce rugosa e dolcissima di Satchmo a commentare la sequenza più atroce di Good Morning, Vietnam. Il canto di Eva fa di nuovo plausibile un mondo dove gli alberi sono verdi e le rose rosse sbocciano “per me e per te”, e i bambini piangono ma crescono felici e “i colori dell’arcobaleno sono tanto graziosi nel cielo/e così i volti dei passanti” e degli amici che si incrociano, si stringono la mano ed ehi! come stai? Che detta in questo modo può indurre cinismo ma vi sfido a essere ancora cinici dopo averla incontrata questa What A Wonderful World. Se ci riuscirete, vi compiango. Dev’essere stata un’esistenza ben miserabile la vostra per avervi reso a tal punto sordi alla purezza. Che è poi il dono che di sé Eva Cassidy ha fatto al mondo in forma di alcune decine di canzoni di altri che ora sono in massima parte sue e solo sue, per sempre. Parabola unica nella storia del pop quella di questa interprete diventata famosa da morta e senza avere fatto nulla per esserlo da viva, senza una grande casa discografica a spingerla, in forza del solo passaparola degli appassionati, dei passaggi radiofonici decisi autonomamente da dj per una volta ribelli alla tirannia delle playlist, di un video artigianale mandato in onda per scommessa e in un batter d’occhio divenuto il più richiesto di sempre alla BBC. Leggo che in Gran Bretagna i suoi dischi si sono già venduti in oltre due milioni di esemplari e per un secondo mi secca di dividere cotanto splendore con una folla così numerosa. Mi sento idiota e mi ripiglio subito: non fu per propagandare splendore che scelsi questo mestiere? Spero che ogni persona che leggerà queste righe compri un CD di Eva Cassidy. Credo che se anche i due milioni di copie dovessero divenire venti, o cinquanta o fate voi, Eva verrà custodita da ciascuno nel cantuccio più intimo del proprio cuore. Un altro angelo caduto troppo presto, come Jeff Buckley. Chi la conobbe dice che questa fama la lascerebbe stupefatta e financo spaventata, lei che impiegò anni per trovare il coraggio di affrontare un pubblico, lei modesta e testarda, quietamente conscia di valere e nello stesso tempo inconsapevole del quanto. Ne sono persuaso.
Nelle note di copertina di “Songbird” James Gavin, che è uno che di angeli deve intendersene avendo scritto una biografia di Chet Baker, racconta che scoprì Eva un giorno del 1993 quando, durante un viaggio in auto con un amico, frugando in uno scomparto ne estrasse una cassetta dell’album diviso dalla ragazza con Chuck Brown (accoppiata sommamente bizzarra ma felice; di più, più avanti). Ne rimase folgorato. Al Dale, che molto fece per convincerla a esibirsi dal vivo, dice che ne sentì per la prima volta la voce, senza vederla, un giorno che capitò per caso nello studio di Chris Biondo (tenete a mente questo nome: a lui dobbiamo ogni singola nota incisa dalla Cassidy). Sicuro, per la potenza e la duttilità soul di quanto udito, di trovarsi di fronte a una ragazza di colore, rimase allibito quando dalla saletta emerse una biondina dagli occhi azzurri. Nell’intervista pubblicata sul numero di novembre 2000 del mensile britannico “Mojo” e che avrebbe dovuto mettermi sulle tracce di questa ritrosa dea (e invece no, perché troppo spesso permettiamo alla vita di condurci al guinzaglio, piuttosto che il contrario), Mick Fleetwood riferisce di avere provato di fronte a Eva le stesse sensazioni avvertite quando per la prima volta ascoltò Stevie Nicks: aveva dinnanzi una persona che cantava dal cuore. Appunta che prima che il successo la sorprendesse Bonnie Raitt fu a lungo un segreto per pochi eletti. Sarebbe toccato pure a Eva, sostiene. E così è andata se vi pare.
Prosegue per altre 10.457 battute su Venerato Maestro Oppure ─ Percorsi nel rock 1994-2015. Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.452, 24 luglio 2001. A oggi sono trascorsi venticinque anni dacché Eva Cassidy ascendeva al cielo facendosi stella. Ne aveva trentatré.
Ho fatto subito i compiti
Preso “Night bird”, il cofanetto con CD e DVD dello storico concerto
What a wonderful world, quando qualcuno lo rende tale
comprai il CD di Eva Cassidy esattamente dopo la recensione sul Mucchio…..
posso finalmente ringraziare la persona che me l’ha fatta conoscere…. .
quel CD per me è talmente prezioso , che ne doso accuratamente l’ascolto….