
All’indomani della nascita del primogenito, Bruce Springsteen gli dedicava un brano chiamato Living Proof. A inaugurare quello che per i suoi più che di chiunque altro (sebbene ogni tanto conceda ai sodali di co-firmare qualche spartito) War On Drugs è il quinto lavoro in studio, Adam Granduciel (indovinate che nome ha scelto per il suo di primogenito… Bruce) ne sistema uno intitolato… Living Proof. Si può essere più trasparenti nel dichiarare le proprie influenze? “Show a little faith” invita tre pezzi dopo, in I Don’t Wanna Wait, citando Thunder Road. Rispettivamente la canzone migliore dell’album con le sue chitarre acustiche folky, una melodia pianistica perfetta e un filo di organo che è poesia e quella che suscita le maggiori perplessità, la più anni ’80 di tutte, batteria dritta da In The Air Tonight, fra i dieci brani in programma sono in realtà e un po’ paradossalmente i due che girano più alla larga dal Boss. È in altre due tracce, collocate di seguito (settima e ottava), che l’omaggio al maestro si fa pura mimesi, Old Skin praticamente una outtake di “Tunnel Of Love”, Wasted l’anello mancante fra Bobby Jean e No Surrender.
Dannato Granduciel! Davvero non gli si può negare un certo qual talento e che peccato che un esasperato perfezionismo lo porti quasi invariabilmente a sciupare idee anche buone tornandoci su all’infinito, arrangiando, riarrangiando e sovrarrangiando e che fortuna che almeno Living On Proof l’abbia lasciata “buona la prima”, che non abbia troppo pasticciato una Occasional Rain che rimanda agli U2 in fissa Americana. Prendete Harmonia’s Dream e Change: avrebbe potuto scriverle Tom Petty, che però poi si sarebbe ben guardato dal renderle così bombastiche.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.438, gennaio 2022.