L’apocalisse nutrita dal dolore di Henry Rollins

Pieno di insicurezze quanto di un’incrollabile fiducia nei propri demoni, Henry Garfield aka Rollins schizza fuori dall’esperienza Black Flag con la velocità di una pallina da flipper e grondando adrenalina e testosterone dai bicipiti palestrati e dal torso tatuato. Dopo un esordio da solista che dice già tutto il titolo, “Hot Animal Machine”, assembla la Band e sarà una delle più formidabili (non proprio gioiosa, ma tant’è) macchine da guerra a battere i palcoscenici americani ed europei negli anni ’90. Annichilente e nel contempo elettrizzante l’impatto, sia visivo che sonico, con un Iggy Pop culturista che rimbalza in scena come impazzito, per poi assumere pose scultoree, e dietro il gruppo che pompa un hard che dire massiccio è poco e però ha un drive quasi funk e nelle pieghe sorprendenti raffinatezze jazz. “Life Time”, “Do It” (in parte dal vivo e con una travolgente cover dell’antico canto di battaglia dei Pink Fairies che lo intitola), “Hard Volume” e “Turned On” (da uno spettacolo a Vienna) sono i montanti che preparano il terreno al gancio da KO di “The End Of Silence”: apocalisse nutrita dal dolore per la tragica fine di un intimo di Rollins, Joe Cole, assassinato sotto gli occhi del cantante.

Tratto da Rock: 1000 dischi fondamentali più cento dischi di culto, Giunti, 2019. A oggi sono trascorsi trent’anni esatti dalla pubblicazione di “The End Of Silence”.

1 Commento

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Una risposta a “L’apocalisse nutrita dal dolore di Henry Rollins

  1. Stefano

    Fondamentale o di culto? Ci ho provato e mi sono cimentato più volte con l’album the Weight visto anche il personaggio e i trascorsi, senza rimanerne altrettanto folgorato. Eppure amo in genere i suoni “pesanti” che qui soffrono sul lungo, dal mio punto di vista, solo un approccio così massiccio e monolitico. Contando pure la durata dell’album. Dal vivo dovevano di certo spaccare e credo si possano considerare un fulgido esempio dell’hard anni ’90.

    Copertina fighissima

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