
Chissà se avranno un futuro da rockstar questi ragazzotti newyorkesi, che per intanto sono la sensazione del momento. O se dovranno rimpiangere di avere, con l’incoscienza di una beata gioventù, provato a fare della musica una professione, decidendo di continuare a suonare insieme in luogo di frequentare (quasi tutti loro) alcune delle più prestigiose università statunitensi (di quelle in cui è un’impresa farsi ammettere). Quando il programma originale era divertirsi un po’ e sciogliersi non appena diplomati. È successo invece che sono bastati alcuni demo messi “on line” fra chissà quante altre decine di migliaia a suscitare un bailamme che non si sarebbero aspettati mai, con offerte di contratti discografici come piovesse. Si sono alla fine accasati in patria alla Partisan e in Europa presso la Play It Again Sam. Debuttano avendo anticipato “Projector” con giusto un 45 giri e scegliendo come singolo di lancio il brano più lungo (quasi sette minuti) dei nove che sfilano nell’album. Che si diceva prima? Ah sì: beata incoscienza.
Si chiama Disco il pezzo in questione e con la disco non ha nulla a che fare, essendo piuttosto una This Is Not A Love Song (con però alla voce Thom Yorke, non John Lydon) declinata da chi frugando nelle collezioni dei genitori ci ha trovato i Television e gli sono piaciuti. Esponenti esemplari di una generazione che al post-punk è arrivata più che altro di riflesso ─ via Franz Ferdinand (Low Era), LCD Soundsystem (la canzone che battezza l’album), Strokes (Fantasies/Survival, Opportunity Is Knocking) ─ i Geese sono stati accostati da molti ai britannici black midi: a chi scrive sembrano assai più rock’n’roll, meno cerebrali in una fisicità che sarebbe bello potere testare presto dal vivo.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.438, gennaio 2022.