
Prossimi non solo in un’ideale libreria sistemata in ordine alfabetico per autore i Black Country, New Road e i black midi: per chi scrive i due gruppi più notevoli espressi dal rock britannico all’incrocio fra lo scorso e il nuovo decennio. Li accomunano reciproca stima, l’abitare territori musicalmente contigui (in “Cavalcade”, l’ultimo black midi, un paio di brani che potrebbero confondersi in “Ants From Up There”), l’essere tutti giovanissimi, l’avere gli uni e gli altri due lavori in studio all’attivo e ora sfortunatamente anche questo: che mentre i black midi perdevano il chitarrista Matt Kwasniewski-Kelvin appena prima di registrare il secondo album i Black Country, New Road hanno annunciato l’addio del cantante e chitarrista Isaac Wood quattro giorni prima che “Ants From Up There” raggiungesse i negozi e subito volasse, migliorando di una posizione il piazzamento di “For The First Time”, al numero 3 della classifica UK. Defezione dovuta incredibilmente alle stesse ragioni (problemi di salute mentale) ma purtroppo destinata a pesare molto di più, visto che della band, autorialmente e per la voce riconoscibilissima, Wood era il fulcro.
Ulteriormente delittuoso sarebbe però se il pensiero che questo potrebbe essere un prematuro congedo ne sciupasse l’ascolto. Se non facesse godere fino in fondo di un disco di una bellezza abbagliante nelle cui dieci tracce (ma la prima è una breve Intro) per complessivi 58’46” un post-rock senza quasi rapporti con il post-punk si muove fra folk (il klezmer un’influenza vistosa) e minimalismo, progressive (versante Canterbury) e chamber pop. Ci troverete dentro i primi Arcade Fire e Arthur Russell, i Neutral Milk Hotel e Michael Nyman, Steve Reich, i Caravan, gli Slint. Cla-mo-ro-so.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.440, marzo 2022.
D’accordissimo su tutto e disco apprezzatissimo, ma c’è qualcosa in “Cavalcade” dei black midi che me lo fa preferire leggermente a questo (nel senso che se ho tempo per ascoltarne soltanto uno e sono costretto a scegliere, opto per i black midi). Sarà magari l’influenza che sento a tratti eccessivamente marcata dei pur amati e rispettatissimi “primi Arcade Fire”?
Tanto mi aveva lasciato freddino l’esordio, troppo sulle scia degli slint e dei van pelt (ma ce li sento solo io?), tanto una bomba questo. Le chitarre restano sullo sfondo, a favore di una strumentazione tanto varia quanto ben arrangiata. Ci sono tracce di pulp e arcade fire, ma sono meri spunti, i pezzi vivono di una gioiosa vita propria. E poi parte quella cover…
Clamoroso? Si.
In pole per essere album dell’album.
Umile Discepolo