
Dapprincipio i bostoniani Lemonheads sono gruppo vero, per quanto non riescano a pubblicare due dischi con lo stesso batterista. Al basso c’è però sempre Jesse Peretz, mentre a dividersi parti vocali e chitarristiche, crediti e insomma la leadership sono Evan Dando e Ben Deily, che all’altezza del secondo LP, “Creator”, del 1988, parrebbe prendere il sopravvento. È un fuoco di paglia. In “Lick” l’anno dopo il suo apporto compositivo è di sole tre canzoni e una era un pezzo rimasto fuori dal debutto dell’87 “Hate Your Friends”. A dispetto o forse proprio per via dell’essere raccogliticcia (pochi i brani scritti appositamente, i restanti sono ripescaggi e lati b) è la loro prova fino a quel punto migliore, capace di andare oltre il cliché Hüsker Dü dei predecessori. Ma è soprattutto l’album con dentro una cover punkizzata di Luka di Suzanne Vega che impazza sulle college radio e attira le attenzioni della Atlantic. Ed è così che nel 1990 dalla hardcore Taang! i Lemonheads, senza più Deily, con Peretz ai saluti e che da lì in poi saranno un alias per Dando, passano a una major un anno e mezzo prima che il boom di “Nevermind” terremoti l’industria discografica USA e mondiale. Più che altro alla Atlantic puntano sul cantante in quanto prototipo di idolo adolescenziale, scommessa che porterà dividendi modesti.
Come fatto nel 2020 per “Lovey” la Fire ristampa “It’s A Shame About Ray” per il trentennale in un’edizione espansa che in realtà poco aggiunge a una del 2008 su Rhino. Manca a “It’s A Shame…” un apice quale era nel disco prima lo stupendo apocrifo R.E.M. Ride With Me, ma il riascolto lo svela migliore che nei ricordi: prodigo di melodie solari, riff incisivi, toccanti ritratti di gioventù spaesata.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.441, aprile 2022.