
Stroncato da un infarto Dr. John, al secolo Malcolm John Rebennack Jr, ci lasciava il 6 giugno 2019. Anziano ma non troppo, settantasettenne, e in ogni caso e per quanto fosse “pulito” da trent’anni un miracolo sia arrivato alla terza età uno che si trascinò un serio problema di dipendenza dall’eroina per quasi altrettanto tempo e dunque dacché era appena un ragazzo. Problema che in gioventù gli costò un paio di anni nelle patrie galere, quando già nella “sua” New Orleans era uno dei nomi di spicco della scena cittadina. Però: è morto da vivo, che visto che tutti dobbiamo andarcene è il miglior modo per farlo. Fulgida seconda giovinezza, il suo XXI secolo è stato scandito da una marea di dischi e fra essi alcuni dei migliori di una vicenda principiata nel 1959 con la hit locale Storm Warning: si segnalano nel folto novero splendide raccolte tributo a Duke Ellington, Johnny Mercer e Louis Armstrong e poi “N’Awlinz: Dis Dat Or D’Udda”, diviso fra standard e composizioni autografe, e soprattutto “Locked Down”. AD 2012. L’ultimo capolavoro, strepitoso nel riassumere un suono e una carriera, perfetta chiusura di cerchio rispetto agli album di cui state per leggere. Dopo di che ci sarà tempo per un Ultimo Valzer, “The Musical Mojo of Dr. John: Celebrating Mac and His Music” (registrato nel 2014, pubblicato nel 2016), per chi all’Ultimo Valzer originale, quello di The Band, aveva partecipato con una memorabile Such A Night.
All’esordio a 33 giri “Gris-Gris” Dr.John (The Night Tripper, aggiunge l’oscura e un po’ inquietante copertina) approda dopo lunga e tumultuosa gavetta dalla quale si potrebbe trarre un film se non una serie TV. Appassionatosi inevitabilmente alla musica, essendo il padre un patito di jazz proprietario di un emporio in cui vende anche dischi e avendo fratelli, cugini, zii e zie che si dilettano a suonare, ha scelto come strumento la chitarra ma ha dovuto ripiegare prima sul basso e poi sul pianoforte dopo che in una rissa scoppiata in un club in cui stava esibendosi qualcuno ha estratto una pistola, ferendolo all’anulare della sinistra. È il 1960 e il giovanotto oltre al piccolo successo summenzionato ha già in cv un altro brano (Lights Out) che ha scalato le classifiche regionali sebbene nell’interpretazione del rocker Jerry Byrne, la militanza in diverse band, un impiego da produttore alla Ace ottenuto quando ancora frequentava un liceo gestito da gesuiti che, venuti a sapere che un allievo frequentava locali malfamati e, non bastasse, una cerchia di amicizie in massima parte di colore, procedevano tosto a espellerlo. Ignorando, gli ingenui, che già integrava i guadagni da musicista gestendo, nella più gloriosa tradizione dei bassifondi di Crescent City, un bordello e trafficando in sostanze stupefacenti. Ne era viceversa a conoscenza la polizia, scattavano le manette e al rilascio dal carcere nel 1965 il giovanotto scopriva che del sottobosco di bar che gli aveva in precedenza dato in vari modi da vivere il comune aveva nel frattempo fatto piazza pulita. Si trasferiva a Los Angeles e in breve diveniva uno dei turnisti più ricercati (dei suoi servigi usufruivano da Sonny & Cher a Frank Zappa passando per i Canned Heat) nella Mecca dell’industria discografica USA. Nell’ordine delle cose che qualcuno gli offrisse un contratto da solista ed era la ATCO, per cui vedranno la luce tutti gli album qui affrontati. “Gris-Gris”, allora. Originalissimo ─ inaudito, addirittura ─ persino in un anno, il 1968, che in opere originalissime e inaudite non lesinò. Ovvero: il rhythm’n’blues di New Orleans approcciato con uno spirito che trascende la psichedelia facendosi rito vudù. Sciamanico e licantropo, dal bluesaccio, Gris-Gris Gumbo Ya Ya, che lo inaugura beefheartiano e con un uso dell’eco che strabiliantemente anticipa tecniche che saranno del dub, a una I Walk On Guilded Splinters in cui già abita Tom Waits e non il cantore confidenziale di notti in night e hotel di infimo ordine della prima, romantica parte di carriera bensì quello che con “Swordfishtrombones” ─ mancano quindici anni! ─ svolterà astratto, spigoloso, mercuriale. Debutto pazzesco, che indifferentemente mette in fila una Danse Kalinda Ba Doom profumata di Africa e Mediterraneo e una Mama Roux da Little Feat (che ancora non esistono) sversi, che al weird folk di Croker Courtbullion fa andar dietro il festoso errebì Jump Sturdy. Il successivo di un anno “Babylon” lascerebbe altrettanto a bocca aperta, sin dal talking-free jazz della traccia iniziale e omonima, se solo non dovesse fare i conti con cotanto predecessore. Ma nella sua follia c’è molto metodo e ne è parte il percorrere sentieri nuovi, si tratti di un’ipotesi di Sly & The Family Experience chiamata Black Widow Spider o di una zappiana non soltanto nel titolo The Lonesome Guitar Strangler, che procede a strappi fra Nord Africa e India prima di citare inopinatamente i Cream e precipitare Henry Mancini in un trip lisergico. In mezzo, tanto soul, del gospel pagano e un country-funk, The Patriotic Flag Waver, con coro di voci bianche e alla fine insertino di America The Beautiful. Da non crederci e ci sta che nel 1970 “Remedies” segni un po’ il passo e tuttavia i minacciosi 17’35” del suggello Angola Anthem bastano a giustificarne l’acquisto. Si torna in quota già prima che l’anno finisca con “The Sun, Moon & Herbs”, magico ma stavolta è per lo più magia bianca, benevola, fra parate da marching band e pigri rhythm’n’blues, almeno fino al caotico finale di Pots On Flyo… e a una Zu Zu Mamou che è ellingtoniana prima di farsi letargica e orrorosa. Il terreno è pronto per “Gumbo”, del 1972 e per la giurisprudenza “il” disco di Dr. John da avere. Qui si concorda, ma a patto che a questa collezione spumeggiante e solare di classici di Crescent City, omaggio del Nostro, che firma giusto un pezzo su dodici, al magistero blues e proto-rock’n’roll di Professor Longhair, si aggiunga “Gris-Gris”.
Fuori catalogo da tempo immemore “Remedies”, il vinilomane di “Gris-Gris” e “The Sun, Moon & Herbs” ha a disposizione stampe Speakers Corner del 2018 e 2020. Di “Babylon” è fresca una riedizione su Music On Vinyl, stesso marchio che si appresta a riportare nei negozi “Gumbo” in una tiratura color turchese limitata a 1.500 copie.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.420, maggio/giugno 2020. Dr. John ci lasciava tre anni fa.
Bellissimo pezzo per un bellissimo musicista,…”conoscete tutti il Dottore”, così lo presenta Robertson, durante il suo e dei suoi sodali ultimo valzer. In prima visione a Piacenza ancora minorenne conoscevo il Dottore.
Credo non troveremo mai il sostituto, personalmente sono legatissimo anche alla produzione /partecipazione di Talking to strangers di Shemekia Copeland. ha lasciato le sue impronte ovunque, anche Eastwood nel suo film sul blues della serie curata da Scorsese non può che comprenderlo fra i grandi del genere…si meritava ancora tanto tempo e invece…
che amore infinito per quest’uomo e i suoi dischi, condivido praticamente tutto, ma per quanto mi piaccia Gumbo Gris Gris è the real deal, non esiste alcun altro disco che io conosca, e qualcuno l’ho sentito in oltre 40 anni di passione, che abbia questo suono e questa paludosa atmosfera voodoo psichedelica. Unico e inarrivabile, anche per il dottore, che non a caso riproverà , spinto anche da giovani leve, a ritrovare certe atmosfere (Anutha Zone, e lo stesso Locked Down). Bello anche Sun Moon etc, l’ho preso anche in triplo vinile ora e per essere costituito per i 2/3 da “scarti” è un bel senire. Ho anche avuto la fortuna di vederlo dal vivo e ancora ne serbo geloso e festoso ricordo, con i wild magnolias e allegra compagnia di giro…Raccomando anche la bella autobiografia…doc quanto mi manchi