
C’era una volta il futuro, si potrebbe dire, e dopo Blade Runner non c’è più. Mai fantascienza è invecchiata così bene e anzi per nulla, mai ha saputo fondersi nel presente con tale gradualità da sfumare ogni differenza. Ti guardi attorno e la società multietnica fotografata da Ridley Scott è… tutto intorno a noi, come il disastro climatico montante, la pubblicità onnipervasiva, i computer su cui a ogni livello basiamo sempre più le nostre vite. Quali le differenze fra la metropoli in cui si muovevano un quarto di secolo fa i replicanti e il loro cacciatore e certo Estremo Oriente? Ma non è solo su questo che il capolavoro di Scott fonda insieme la sua persistente attualità e un collocarsi fuori dal tempo. È che pone quelle domande che mai potremo eludere e alle quali mai potremo dare risposte compiute che non siano fideistiche: chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando. Questo il nucleo. Ma non si può dire siano mero contorno né suggestioni visive che ridisegnavano il nostro immaginario come a nessun film è mai riuscito né quelle di una colonna sonora che, più che commentare, si fa protagonista. Spesso mattatrice assoluta.
Come il film, anche la colonna sonora ha avuto più versioni ed è giusto così, perché ci sono storie che racconteremo fino a un attimo prima di estinguerci. Una apocrifa della New American Orchestra già nell’82 e paradossalmente quella originale firmata da Vangelis solo nel ’94. Questa “Trilogy” è forse quella definitiva, con tutte le musiche che avevamo potuto ascoltare al cinema e altre nuove miracolosamente capaci di reggere il confronto, intercambiabili, fra cyberjazz e lounge di macchine, Orienti e autunni dell’anima e un’elettronica di un’umanità che ti fa sciogliere in lacrime nella pioggia e non sai perché.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.287, febbraio 2008. Blade Runner usciva nelle sale americane il 25 giugno 1982. Vangelis è scomparso lo scorso 17 maggio, settantanovenne.