
Parafrasando Antonello Venditti, certe collaborazioni non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Nel fenomenale debutto del 2001 “Faces Down”, edito quando era a malapena maggiorenne ma scritto e inciso quando ancora non lo era, Sondre Lerche affidava alcuni arrangiamenti di archi a uno dei suoi idoli, Sean O’Hagan degli High Llamas, sodalizio rinnovato nel non meno brillante seguito del 2004 “Two Way Monologue”. Dell’oggi trentanovenne artista norvegese possiedo quasi per intero il catalogo, almeno a livello di album (questo è l’undicesimo, non contando un live e una colonna sonora) e ciò che non ho l’ho comunque ascoltato. Se O’Hagan compare da qualche altra parte, mi è sfuggito. In “Avatars Of Love” c’è e di nuovo firma un’orchestrazione di archi, splendido controcanto alla voce misurata e alla chitarra acustica arpeggiata dell’inaugurale Guarantee That I’d Be Loved.
Anche certe carriere fanno dei giri immensi. All’inizio un nuovo Elvis Costello al netto del sarcasmo e influenzato dai Beatles come dagli Steely Dan, Brian Wilson e Burt Bacharach, Elliott Smith e i Tindersticks, Lorche nel suo terzo lavoro in studio, “Duper Sessions” (2006) omaggiava Cole Porter, salvo nel successivo di un anno “Phantom Punch” porgersi decisamente rock. Molto più avanti, in “Pleasure” (2017), flirterà con dance e synth-pop. Quattordici canzoni di cui due sopra i dieci minuti per una durata che sfiora l’ora e mezza, “Avatars Of Love” prova a… riassumere in un singolo… in un doppio album più o meno per intero la cifra stilistica di uno che ha coverizzato Britney Spears e collaborato con Van Dyke Parks. La penna è mediamente ispirata ma l’opera risulta inevitabilmente dispersiva. E un po’ estenuante, sì.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.442, maggio 2022.